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Cronaca
02 Settembre 2025 - 17:04
Detenuto di 260 chili bloccato in pronto soccorso da dieci giorni rivela il vuoto delle strutture penitenziarie piemontesi
Un pronto soccorso trasformato in cella, con monitor e flebo a sostituire sbarre e cancelli. È lo scenario che da dieci giorni si ripete all’ospedale di Cuneo, dove un detenuto con una condanna pesante, affetto da diabete e con un peso di 260 chili, è costretto a vivere in una stanza di emergenza sotto piantonamento fisso. Una vicenda che mette a nudo un paradosso: in Piemonte non esiste alcuna struttura capace di ospitare un detenuto in queste condizioni, e il risultato è un carico insostenibile scaricato sulla sanità pubblica, già provata da turni e reparti sovraffollati.
Il caso ha assunto i contorni di un cortocircuito istituzionale. Da un lato l’obbligo di garantire l’esecuzione della pena, dall’altro la necessità di cure complesse. Nel mezzo, il personale sanitario costretto a trasformare le stanze del pronto soccorso in luoghi di detenzione improvvisata, e gli agenti della polizia penitenziaria distolti dal servizio in carcere per presidiare un paziente-detenuto in ospedale. La soluzione tampone, però, rischia di diventare una regola: perché la Regione non dispone di strutture attrezzate a gestire detenuti con problematiche cliniche così gravi e fuori dall’ordinario.
Il sindacato Osapp ha usato parole dure: «Situazione surreale: l’amministrazione penitenziaria scarica le proprie inadempienze sulla sanità pubblica». Una denuncia che fotografa l’impasse e rilancia la domanda più scomoda: chi deve occuparsi di predisporre percorsi e luoghi dedicati quando la detenzione incrocia bisogni sanitari complessi?
Accanto agli operatori sanitari e agli agenti penitenziari, ci sono anche i familiari e le figure istituzionali coinvolte. Domenico De Leo, fratello del detenuto, chiede rispetto e dignità per un uomo che deve sì scontare la sua pena, ma in un contesto compatibile con le sue condizioni di salute. A sollevare il caso anche Alberto Valmaggia, garante dei detenuti di Cuneo, che sottolinea la necessità di trovare un equilibrio tra diritto alla cura e sicurezza. Due voci che fotografano il peso umano di una vicenda diventata simbolo delle falle del sistema.
Restano aperti interrogativi urgenti. Dove collocare il detenuto senza continuare a gravare sul pronto soccorso? Quali risorse straordinarie può mettere in campo l’amministrazione penitenziaria per garantire la custodia in casi clinici ad alta complessità? E soprattutto, come evitare che episodi simili si ripetano, creando protocolli chiari tra istituti penitenziari e sanità?
Il caso di Cuneo è molto più di un episodio isolato: è un banco di prova per lo Stato, chiamato a trovare risposte all’altezza; per la sanità, che non può trasformarsi in carcere; e per l’amministrazione penitenziaria, che deve dotarsi di strutture e strumenti adeguati a gestire anche le situazioni estreme. L’umanità non può essere contrapposta alla legalità: garantire cure non significa attenuare la condanna, ma dare concretezza a un principio di civiltà che, al momento, resta drammaticamente sospeso.
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