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Cronaca

Detenuto di 260 chili bloccato in pronto soccorso da dieci giorni rivela il vuoto delle strutture penitenziarie piemontesi

Da dieci giorni in pronto soccorso a Cuneo; Osapp accusa, intervengono il garante e il fratello

Detenuto di 260 chili bloccato

Detenuto di 260 chili bloccato in pronto soccorso da dieci giorni rivela il vuoto delle strutture penitenziarie piemontesi

Un pronto soccorso trasformato in cella, con monitor e flebo a sostituire sbarre e cancelli. È lo scenario che da dieci giorni si ripete all’ospedale di Cuneo, dove un detenuto con una condanna pesante, affetto da diabete e con un peso di 260 chili, è costretto a vivere in una stanza di emergenza sotto piantonamento fisso. Una vicenda che mette a nudo un paradosso: in Piemonte non esiste alcuna struttura capace di ospitare un detenuto in queste condizioni, e il risultato è un carico insostenibile scaricato sulla sanità pubblica, già provata da turni e reparti sovraffollati.

Il caso ha assunto i contorni di un cortocircuito istituzionale. Da un lato l’obbligo di garantire l’esecuzione della pena, dall’altro la necessità di cure complesse. Nel mezzo, il personale sanitario costretto a trasformare le stanze del pronto soccorso in luoghi di detenzione improvvisata, e gli agenti della polizia penitenziaria distolti dal servizio in carcere per presidiare un paziente-detenuto in ospedale. La soluzione tampone, però, rischia di diventare una regola: perché la Regione non dispone di strutture attrezzate a gestire detenuti con problematiche cliniche così gravi e fuori dall’ordinario.

Il sindacato Osapp ha usato parole dure: «Situazione surreale: l’amministrazione penitenziaria scarica le proprie inadempienze sulla sanità pubblica». Una denuncia che fotografa l’impasse e rilancia la domanda più scomoda: chi deve occuparsi di predisporre percorsi e luoghi dedicati quando la detenzione incrocia bisogni sanitari complessi?

Accanto agli operatori sanitari e agli agenti penitenziari, ci sono anche i familiari e le figure istituzionali coinvolte. Domenico De Leo, fratello del detenuto, chiede rispetto e dignità per un uomo che deve sì scontare la sua pena, ma in un contesto compatibile con le sue condizioni di salute. A sollevare il caso anche Alberto Valmaggia, garante dei detenuti di Cuneo, che sottolinea la necessità di trovare un equilibrio tra diritto alla cura e sicurezza. Due voci che fotografano il peso umano di una vicenda diventata simbolo delle falle del sistema.

Restano aperti interrogativi urgenti. Dove collocare il detenuto senza continuare a gravare sul pronto soccorso? Quali risorse straordinarie può mettere in campo l’amministrazione penitenziaria per garantire la custodia in casi clinici ad alta complessità? E soprattutto, come evitare che episodi simili si ripetano, creando protocolli chiari tra istituti penitenziari e sanità?

Il caso di Cuneo è molto più di un episodio isolato: è un banco di prova per lo Stato, chiamato a trovare risposte all’altezza; per la sanità, che non può trasformarsi in carcere; e per l’amministrazione penitenziaria, che deve dotarsi di strutture e strumenti adeguati a gestire anche le situazioni estreme. L’umanità non può essere contrapposta alla legalità: garantire cure non significa attenuare la condanna, ma dare concretezza a un principio di civiltà che, al momento, resta drammaticamente sospeso.

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