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Punto Rosso
01 Settembre 2025 - 04:51
Il carcere è un quartiere di Ivrea. Forse, ma molto molto periferico
“Il carcere è un quartiere di Ivrea”, si sente dire fra le menti più aperte della città. L’intento è quello di trasmettere inclusione, affermare che il carcere non è cosa avulsa dalla città, ma sua parte integrante. Ma il passaggio all’atto pratico, dalle belle parole alle azioni concrete, è pieno di ostacoli.
La responsabilità, a mio parere, sta in due questioni. Da un lato, il cambio di direzione della Casa circondariale che ha ostacolato fino a cancellarle iniziative di scambio dentro-fuori, di comprensione del disagio, di prospettiva. Penso alla chiusura della redazione La Fenice o alla cancellazione di laboratori espressivi.
Dall’altro lato, l’iniziativa istituzionale non riesce ad essere incisiva. Sembra più orientata al bel gesto simbolico, da celebrare con inaugurazioni, tagli di nastri, foto, ecc. che a reali percorsi di cambiamento di visione. Penso alla panchina rossa che tutti possiamo vedere davanti alle mura carcerarie, fulgido esempio (monito) di inutilità per il cambiamento. Penso ai gatti galeotti, se c’è un animale che non si può chiudere in un recinto quello è proprio il gatto. Per questo l’associazione Eporedianimali, che gestisce il gattile di Ivrea e cura diverse colonie sul territorio, ha sempre dato giudizio sfavorevole al progetto, motivandone la contrarietà. Ogni tanto mi chiedo dove saranno questi mici, se usano la lussuosa struttura in lamiera (costo 8.500 euro) o se vagano come loro abitudine in luoghi diversi, se entrano in contatto con i pochi detenuti scelti per l’esperimento, se questi ne hanno giovamento.
Eppure, panchina e struttura in lamiera sono ancora lì. La Fenice è stata chiusa. In linea con altre direzioni carcerarie che non afferrano il semplice principio che poter esprimere i propri sentimenti, il disagio, il dolore, il pentimento, la rabbia, scrivendo, è un beneficio non solo per i detenuti, ma di conseguenza anche per chi nel carcere ci lavora. Avere un luogo dove poter scambiare riflessioni ed esperienze è una magnifica valvola si sfogo, non è difficile da capire. Eh, ma parlavano male del carcere. Beh, non è che le carceri italiane brillino per aderenza al dettato costituzionale sulle pene. “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” raccomanda l’articolo 27 della Costituzione italiana. Lasciare dei detenuti in celle affollate, al caldo infernale che anche sul cervello di chi è libero fuori può avere effetti devastanti, porta quasi inevitabilmente a eventi di intolleranza e aggressività. Così si susseguono gli episodi di tensione, gli scatti di escandescenza, attacchi verso sé stessi e verso la polizia penitenziaria.
E c’è una cosa mi colpisce nella cronaca giornalistica di questi episodi: l’assenza di una voce in difesa dei detenuti. Per la polizia penitenziaria intervengono puntualmente, e legittimamente, i sindacati di categoria. A Ivrea, dopo i casi di agosto, questi denunciano un problema di dirigenza e organizzazione: “manca da quattro anni un comandante titolare”, e questo riguarda il loro Corpo, “il livello di disorganizzazione e degrado nell’istituto è giunto ai massimi storici” e questo riguarda la direzione del carcere.
L’ultimo intervento del garante dei detenuti di Ivrea risale al maggio scorso (se non me sono persa altri). L’amministrazione comunale che pure, novità per Ivrea, ha una delega specifica per il carcere pare anch’essa in difficoltà nel rapporto con quel quartiere della città.
Il carcere di Ivrea non è certo un caso isolato, ma purtroppo rispecchia appieno il sistema penitenziario italiano, abissalmente distante da quell’articolo 27 citato prima. Questo non consola nessuno, preferiremmo essere un modello da imitare invece che uno fra i tanti luoghi di costrizione disumana. La pena per un detenuto è la perdita della libertà, non altro.
Per chi è interessato al tema, sul sito de La Fenice (lafenice.varieventuali.it), trasformato da “giornale dal carcere” a “voci dal carcere”, per tenere viva l’attenzione sul tema, si continuano a pubblicare articoli, testimonianze, racconti e denunce presi da altre pubblicazioni. In attesa che una più illuminata direzione permetta la riapertura della redazione dentro il carcere di Ivrea, per raccontare vite e provare a riflettere insieme su tutto il sistema che chiaramente sta fallendo considerato che quasi il 70% di chi entra in carcere c’è già stato, due detenuti su tre.
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