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Cronaca

Taglierino al volto di un ragazzino in stazione a Chivasso. A che servono le ordinanze del Comune?

Scoppia la polemica dopo l'ultima aggressione. I cittadini chiedono più sicurezza: gli interventi dell'amministrazione del sindaco Claudio Castello finora non hanno portato a nulla

Taglierino al volto di un ragazzino in stazione a Chivasso. A che servono le ordinanze del Comune?

Un volto inciso da un taglierino. Un ragazzo che rischia di portarsi dietro per sempre il ricordo di una notte di violenza. È l’ennesima aggressione alla stazione di Chivasso, un fine settimana che ha riacceso l’allarme e una domanda che rimbalza tra i binari e le panchine: quanto bisognerà attendere prima che piazza Garibaldi e piazzale XII Maggio tornino a essere luoghi sicuri?

Lo scorso weekend un minorenne chivassese stava attraversando l’atrio della stazione quando è stato circondato da un gruppo di ragazzi che gli avrebbero chiesto denaro. Al rifiuto, uno di loro ha estratto un taglierino e lo ha colpito al volto, sotto l’occhio. Una ferita profonda, descritta da chi l’ha vista come segno netto, con il rischio di una cicatrice permanente. Non risultano denunce formali, ma la dinamica raccontata lascia poco spazio ai dubbi: violenza improvvisa, gratuita, in un luogo già considerato da tempo fragile sotto il profilo della sicurezza.

Non si tratta di un episodio isolato. Qualche mese fa, sempre in stazione, un sedicenne era stato aggredito con un coltello da cucina sulla passerella che collega via Caluso a piazza Garibaldi. Una minaccia per soldi, la fuga disperata del ragazzino, l’intervento dei genitori e il panico di una città che si accorgeva, ancora una volta, di vivere in una zona franca dove basta aspettare il cambio di turno della vigilanza per colpire indisturbati. Già allora si denunciava l’assenza di telecamere sulla passerella, le falle nel presidio serale, l’insufficienza degli operatori della FS Security. Da allora poco è cambiato: le aggressioni continuano a replicarsi con lo stesso copione.

Eppure il Comune di Chivasso non è rimasto fermo. Ha provato a correre ai ripari con ordinanze e divieti. Prima quella “anti-vetro”, poi l’ordinanza che vieta la vendita e il consumo di alcolici in alcune fasce orarie, fino all’assurdità della rimozione delle panchine in stazione. Misure che hanno colpito soprattutto cittadini e commercianti, lasciando intatto il cuore del problema. Perché togliere le sedute non impedisce ai gruppi di bivaccare, vietare una bottiglia di birra dopo le 20 non scoraggia chi delinque ma danneggia chi lavora. Basti pensare ad Atiqur Rahman, titolare del mini-market di via Torino, costretto a spegnere i frigo mentre a pochi metri di distanza la movida e i bivacchi proseguono indisturbati. Una follia normativa che crea zone a divieto alternato, punendo alcuni e salvando altri.

Nel frattempo, la realtà fotografa ben altro. Lo scatto diffuso dal consigliere comunale Bruno Prestìa — un uomo che in pieno giorno defecava dietro la biblioteca del Movicentro — è diventato il simbolo del fallimento delle politiche di contrasto al degrado. Ordinanze chirurgiche, selettive e discriminatorie che non hanno impedito episodi simili, ma hanno reso la vita più complicata a chi paga affitti, tasse e resiste in un contesto sempre più difficile.

Il problema resta irrisolto: la stazione di Chivasso è insicura, sporca, abbandonata a sé stessa. Lo raccontano i fatti di cronaca, ma anche la percezione dei cittadini. Secondo un sondaggio social, il 70% dei chivassesi si è dichiarato contrario all’ordinanza anti-alcol. Un segnale chiaro, una bocciatura popolare che dice molto di più delle giustificazioni ufficiali.

E mentre i cittadini invocano presidi reali, telecamere, videosorveglianza, pattugliamenti costanti nelle fasce orarie critiche, l’amministrazione continua a produrre divieti su carta che si sgretolano al primo colpo di realtà. Perché chi delinque ha imparato a studiare gli orari e a colpire quando le forze dell’ordine non ci sono. E chi bivacca trova comunque il modo di aggirare i divieti, ridendo delle ordinanze come di un fastidio temporaneo.

La polemica politica si accende. Prestìa denuncia su Facebook il silenzio dell’amministrazione sull’aggressione e lo contrappone al rigore con cui vengono elevate multe anche quando gli eventi per cui i divieti erano stati disposti vengono annullati. Due pesi e due misure: severità con gli automobilisti, silenzio sulle aggressioni. Un’accusa che rimbalza tra i cittadini e mette nel mirino il sindaco Claudio Castello, già finito in difficoltà su Tari e parcheggi blu, dove alla fine fu costretto a fare marcia indietro.

La domanda che resta sospesa è sempre la stessa: questa stazione la vogliamo rendere vivibile o preferiamo continuare a illuderci che bastino ordinanze e cartelli a fermare la paura? Perché finché un minorenne verrà aggredito con un taglierino, finché un sedicenne verrà minacciato con un coltello, finché i cittadini si sentiranno costretti a correre sui social per denunciare degrado e insicurezza, la stazione di Chivasso resterà una chimera. Un luogo che si evita, non che si vive.

Ed è proprio questo il vero allarme.

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