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Io sto con Atiq. Castello revochi l’ordinanza

Da venditore di rose a negoziante di fiducia. Lavora dall’alba alla notte, ha costruito tutto da solo, ha portato qui moglie e figlio per dargli un futuro. Ma il Comune lo colpisce con un’ordinanza che vieta solo a lui di vendere. Solo lui. Solo il Bangladesh

Io sto con Atiq. Castello revochi l’ordinanza

Atiq

C’era una volta un ragazzo “venuto dal Bangladesh” che vendeva rose nelle vie di Chivasso e nei ristoranti. Non chiedeva l’elemosina, non rubava niente a nessuno. Portava fiori, parole gentili e un’immagine che, negli anni, è diventata familiare. Quel ragazzo si chiama Atik Rahman, anche se tutti lo chiamano semplicemente Atiq, ed è una delle presenze più care della nostra città.

Oggi Atiq non vende più rose per strada. Da tempo ha un negozio tutto suo: l’Atiq Express Minimarket, in via Torino. Una di quelle botteghe piccole, piene, accese anche quando le luci del centro cominciano a spegnersi. Una di quelle botteghe dove trovi tutto: l’acqua, le bibite, la frutta, magari una birretta.
E se abiti in centro e hai una certa età, ti porta la spesa e sei bottiglie d’acqua direttamente a casa.
Un negozio che sa ancora dire buonasera anche quando le saracinesche degli altri sono abbassate da ore. Un negozio che non ti frega, perché non ne è capace. E perché domani sarà ancora lì.

Ci ha creduto, Atiq. Ha portato in Italia anche la moglie e il figlio, a cui vuole “dare un futuro bello”. È venuto qui per costruire qualcosa. Lo ha fatto senza urlare, senza sgomitare, lavorando ogni giorno, con quella gentilezza che solo chi sa cosa vuol dire partire da zero riesce a conservare.

Un negozio che oggi è finito nel mirino di un’ordinanza firmata dal sindaco Claudio Castello, che – in nome del decoro e della sicurezza – ha deciso che, dal 2 luglio al 26 agosto, in via Torino e piazza della Repubblica non si possono vendere alcolici da asporto. Vietato persino averli in mano.
Guarda caso, quest’ordinanza colpisce solo Atiq. Solo lui. Solo il Bangladesh.

Nelle vie laterali puoi bere quello che vuoi. Poco più in là puoi vendere tutto. Puoi bere anche seduto a un tavolino.
Ma in piedi e in via Torino, no. Da lui, no.

Inutile girarci attorno: questa ordinanza non è prevenzione. È discriminazione.

È la fotografia di un’Italia dove ci si illude che basti un divieto per combattere l’alcolismo giovanile. Dove si chiude un occhio quando a vendere cocktail sono cittadini che poi “votano”, ma si alza la voce quando a farlo è uno come Atiq.

Che lavora dall’alba alla notte, che ha costruito tutto con le sue mani, che ha conquistato il rispetto giorno dopo giorno, a forza di lavoro e gentilezza.
Che ha imparato a parlare la nostra lingua, che si è fatto voler bene, che ha messo su un’attività come farebbero i nostri nonni, quegli italiani che un tempo partivano per la Germania e si facevano un mazzo così.

E invece oggi lo premiamo con un’ordinanza che lo isola, che lo punisce, che gli dice: tu no.
Tu non puoi vendere. Tu non puoi restare aperto. Tu non puoi fare ciò che fanno gli altri.

Ma allora diciamolo chiaramente: questa è una scelta politica.
E in quanto tale, va giudicata. Non serve un piano per la sicurezza, non c’è un vero contrasto all’alcolismo, non si investe in controlli, non si mettono tutor nelle piazze.
Si mettono divieti casuali, zone a rischio inventate. E si finisce per colpire sempre i più deboli, quelli che non hanno lobby, non hanno amici in consiglio, non hanno una voce nei comunicati stampa del Comune.

Noi quella voce gliela vogliamo dare.
Perché Atiq è uno di noi. È quello che tiene accesa una luce quando la città si spegne. È quello che non crea degrado, ma lo contrasta, perché una vetrina viva è sempre meglio di un marciapiede vuoto.

Allora lasciateci almeno il diritto di dire che questa ordinanza è sbagliata. Che Atiq non merita tutto questo. E che, se la battaglia è contro l’alcolismo, si cominci dai veri responsabili, non da chi cerca di sopravvivere onestamente, faticando ogni giorno per costruirsi un pezzo d’Italia.

Perché quella che per qualcuno è solo una birretta in più
Per lui è un affitto da pagare, un sogno che continua, un futuro che non vuole crollare.
E noi, quel sogno, vogliamo difenderlo.

C’era una volta un ragazzo “venuto dal Bangladesh”.
Oggi c’è solo Atik.
Un ragazzo che si sente italiano… ma solo a metà.

Insomma, io sto con Atik.

E insieme ad altri cento, forse mille chivassesi, chiedo al sindaco Claudio Castello di annullare l’ordinanza.
All’Ascom, di tirare fuori il coraggio e dire chiaramente che questa ordinanza è fuori dal mondo, per non dire "irregolare".
Alla Maggioranza di centrosinistra, che governa la città, di dire qualcosa di sinistra.
E – se ancora non bastasse – alle Opposizioni di centrodestra, a Clara Marta & C., di inscenare una protesta in via Torino, davanti a quella saracinesca che continua ad alzarsi ogni mattina.
Anche oggi. Anche domani.

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