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Vietato bere alcolici in stazione, ma fare la cacca in strada sì: c'è qualcosa che non torna nell'ordinanza di Castello

Un uomo immortalato a fare i bisogni dietro il Movicentro scatena il dibattito sull'efficacia dei provvedimenti adottati dal sindaco

Vietato bere alcolici in stazione, ma fare la cacca in strada sì: c'è qualcosa che non torna nell'ordinanza di Castello

Vietato bere alcolici in stazione, ma fare la cacca in strada sì: c'è qualcosa che non torna nell'ordinanza di Castello

Chivasso, pomeriggio di luglio. Un uomo si accuccia dietro la biblioteca del Movicentro e fa i suoi bisogni in strada. In pieno giorno. Qualcuno lo fotografa. L’immagine finisce poche ore dopo sui social, pubblicata dal consigliere comunale Bruno Prestìa con un commento che è un atto d’accusa: “Eppure c’è chi continua a dire che sia tutto normale, tutto sotto controllo... giudicate voi: pieno giorno (oggi pomeriggio), un elemento che sta defecando tranquillamente dietro la biblioteca. Non sto a dire tutto il resto, perché fa schifo... Chivasso non può essere questa, non lo accetto!!!”.

Il punto è proprio questo: Chivasso non dovrebbe essere questa. Ma questa è.

E la cosa ancor più surreale è che tutto questo accade dopo l’entrata in vigore dell’ordinanza anti-alcol firmata dal sindaco Claudio Castello, pensata per contrastare degrado, bivacchi e insicurezza urbana. Il degrado, però, continua a regnare indisturbato. Gli autori dei disagi pure.

L’ordinanza n. 307 del 1° luglio 2025 prevede il divieto di vendita e consumo di alcolici da asporto in alcune zone della città, in determinate fasce orarie: dalle 20.00 alle 6.00. In alcune aree — come piazza Garibaldi — il divieto scatta addirittura alle 16.30. Eppure, nemmeno questa stretta selettiva, chirurgica, a tratti grottesca, ha sortito l’effetto sperato. Le immagini lo dimostrano: nessuna ordinanza ferma l’inciviltà. Nessuna firma blocca l’indecenza.

A finire nel mirino, però, sono sempre i soliti. Non i balordi che urinano e spaccano bottiglie.

Ma chi lavora, chi apre un negozio e resiste in mezzo a un contesto complicato.

Come Atiqur Rahman, per tutti Atiq, titolare dell’Atiq Express Mini-Market di via Torino. È lui il vero bersaglio dell’ordinanza. Non serve assoldare il Mossad per capirlo. Basta guardare la mappa delle vie interessate dal divieto e sovrapporla al tessuto commerciale della città. I bar possono continuare a somministrare alcolici al tavolo. I ristoranti pure. Ma Atiq, che vende birre e bibite refrigerate nel suo mini-market da asporto, no. Per lui niente deroghe. Solo silenzio e frigo spenti dopo le 20.

Atiq viene dal Bangladesh. Chivasso l’ha accolto anni fa a calci e pugni, in un Capodanno finito male, quando fu pestato da un gruppo di ubriachi mentre cercava solo di vendere qualche rosa. Ma lui è rimasto. Ha portato qui la famiglia. Ha investito tutto in questa città. Oggi, mentre lavora sette giorni su sette, viene colpito da un provvedimento che non ha nulla di neutro. Che punisce non il comportamento, ma la condizione. Che seleziona, distingue, discrimina.

Anche perché basterebbe girare l’angolo e tutto cambia. In via Torino non puoi vendere una birra dopo le 20. In via Siccardi, sì. In piazza della Repubblica, no. In via Po, sì. Una follia normativa degna del Risiko. Una regola che salva qualcuno e punisce qualcun altro. Come ci ha detto Vittoria Piperato, titolare del Bar Posta: “Si vuole garantire la sicurezza? Bene! Si estenda il divieto a tutti, non solo ad alcuni...”. Gli fa eco Beppe Sartori del Dom’s: “Chi vuole ubriacarsi lo fa lo stesso. Basta comprare le birre mezz’ora prima o spostarsi di cento metri. Non si risolve nulla”.

Già. Non si risolve nulla. Ma si crea un danno reale. Perché Atiq paga 1.200 euro di affitto al mese. Perché il suo negozio lavora soprattutto la sera. Perché chiude i frigo quando il resto della città ancora beve. Perché è diventato, a sua insaputa, il simbolo di una battaglia politica ipocrita e codarda. L’ordinanza non colpisce chi devasta. Colpisce chi non può difendersi. Chi non ha assessori da chiamare. Chi non vota, non protesta, non grida. Chi non conta.

Nel frattempo il degrado continua. L’uomo che ha defecato in strada è lì a ricordarcelo. L’ordinanza? Una toppa messa male. Un placebo. Un foglio di carta che non ferma la puzza, né l’umiliazione di una città che si piega ogni sera. Come già successo nei mesi scorsi, quando la stessa ordinanza fu sperimentata nella zona del Movicentro. Risultati? Zero. Come dimostra l’aggressione subita da un sedicenne nel sottopasso della stazione.

E non lo diciamo solo noi. Lo dicono i chivassesi. Il nostro sondaggio social ha parlato chiaro: 70% contrari all’ordinanza, 30% favorevoli. Non è un dettaglio. È una bocciatura netta. Un invito — o meglio, una richiesta — a fare un passo indietro. A riconoscere che la misura non è calibrata bene. Che ha creato solo divisione e ingiustizia.

E allora, caro Claudio Castello, che fai? In passato, quando la città ha protestato, hai saputo tornare sui tuoi passi. È successo con la Tari. È successo con i parcheggi blu di viale Vittorio Veneto. Ora che tutta Chivasso ti chiede di cancellare quest’ordinanza, sei disposto a tornare sui tuoi passi?

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