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21 Agosto 2025 - 09:30
Eutanasia per troppe coccole? Il caso assurdo di Smoke, il cane condannato a morte senza prove mediche
Un cane di quattro anni, un rifugio che ne chiede l’eutanasia, decine di migliaia di firme ignorate, volontari sospesi, celebrità mobilitate e una domanda che brucia: davvero si può condannare un animale senza aver escluso cause mediche con esami approfonditi? La vicenda di Smoke, pastore olandese rinchiuso nel rifugio SPA di Flayosc, ha il sapore amaro di un sistema che sembra incapace di distinguere tra giustizia e fretta di chiudere un caso scomodo.
Smoke non è un cane facile: trovato legato all’aeroporto di Nizza, ha già morso più volte, dai volontari del rifugio agli adottanti che lo hanno accolto per tre mesi prima di restituirlo. Le cronache raccontano episodi di aggressività improvvisa, soprattutto davanti al cibo e nel controllo del territorio. Ma le stesse testimonianze parlano di comportamenti anomali, quasi da sonnambulismo, che hanno spinto qualcuno a ipotizzare crisi epilettiche mai diagnosticate.
Ed è qui che la storia assume i contorni del paradosso. Perché, nonostante i sospetti di una malattia neurologica, nessun esame di diagnostica per immagini è mai stato effettuato. Niente TAC, niente risonanza magnetica, niente test che possano confermare o escludere patologie curabili. Smoke è stato trattato con farmaci antiepilettici per appena tre settimane: troppo poco per valutare un effetto terapeutico. Eppure la commissione interna della SPA ha deciso che il rischio è massimo (livello 4 su 4) e che l’unica via sia l’eutanasia.
La reazione è stata immediata e furiosa. Oltre 68.000 firme raccolte in pochi giorni, celebrità come il comico Rémi Gaillard scese in campo, volontari che hanno organizzato veglie quotidiane davanti al rifugio e che sono stati sospesi per aver osato contestare la decisione. Gli slogan urlati davanti ai cancelli – “Dov’è Smoke? Restituisci Smoke!” – raccontano meglio di ogni comunicato la rabbia di una comunità che non accetta di veder sopprimere un animale senza un processo clinico vero.
C’è anche chi ha minacciato di cancellare lasciti milionari destinati alla protezione degli animali se Smoke sarà soppresso. E non mancano i ricorsi legali: un’ingiunzione urgente è stata presentata al tribunale di Draguignan, che dovrà decidere se sospendere l’eutanasia. I tempi della giustizia, però, rischiano di arrivare troppo tardi per un cane già segnato dal destino.
Il presidente della SPA, Jacques-Charles Fombonne, difende il verdetto con argomenti che suonano come una giustificazione preventiva: «E se mordesse un bambino vulnerabile?». È la logica del peggio possibile, usata come scudo per evitare ogni contestazione. Ma davvero un Paese civile può decidere della vita di un animale sulla base di un “e se”, senza avere in mano tutti i dati medici?
Il caso di Smoke sta diventando un processo alla gestione dei cani etichettati come pericolosi in Francia. Non è solo la sorte di un pastore olandese: è la fotografia di un sistema che può liquidare problemi complessi con una soluzione irreversibile, senza la minima certezza scientifica. Non è un caso se gli hashtag #JeSuisSmoke e #StopEuthanasie dominano le piattaforme social, trasformando questo cane in un simbolo di una battaglia più ampia.
Perché se un animale, con un passato di abbandoni e traumi, mostra comportamenti aggressivi, la risposta non può essere solo la soppressione. La richiesta di test medici completi e di protocolli trasparenti non è l’ingenuità di pochi animalisti, ma il minimo sindacale per chiunque creda che la tutela della vita, anche di quella animale, non possa essere ridotta a un atto burocratico.
In fondo, la domanda che resta sul tavolo è una sola: Smoke è davvero pericoloso o è solo una vittima della fretta, della paura e della mancanza di coraggio di guardare più a fondo?
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