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Cronaca
19 Agosto 2025 - 11:04
Torino, 73enne “murato vivo” in cella: la denuncia dei Radicali scuote il Lorusso e Cutugno
Una cella sigillata con carta stagnola, un odore nauseabondo che invade il corridoio, un uomo di 73 anni che da anni vive isolato, quasi “murato vivo”. È l’immagine cruda che arriva dal carcere Lorusso e Cutugno di Torino, fotografata dai Radicali Italiani e portata all’attenzione dell’opinione pubblica con una denuncia destinata a pesare sulle istituzioni. Il caso di Nicola, detenuto del braccio C, è stato reso noto il 19 agosto 2025, a pochi giorni da un suicidio e da un tentato suicidio nello stesso istituto.
La cella in cui vive è stata trasformata in un vero bunker: ogni superficie, comprese le finestre, è stata ricoperta di carta stagnola e fissata con colla. L’aria filtra appena da una fessura, mentre dall’interno proviene un odore acre che rende impossibile ignorare la situazione anche a distanza. Secondo quanto riferito da altri detenuti, l’uomo non uscirebbe quasi mai, se non in occasione di Trattamenti sanitari obbligatori (TSO), e non avrebbe accesso regolare neppure alla doccia. Per i Radicali, si tratta di una condizione “del tutto incompatibile con la detenzione ordinaria”.
La denuncia, accompagnata dalla testimonianza del segretario nazionale Filippo Blengino e da una delegazione politica composta da esponenti di Azione e +Europa, non si limita a raccontare un episodio di degrado, ma solleva un problema più ampio: la dignità della pena. In condizioni simili, osservano i Radicali, la privazione della libertà non si distingue più dal venir meno dei diritti fondamentali. Una situazione che getta ombre anche sul lavoro della polizia penitenziaria, costretta a convivere con un quadro indegno e ingestibile.
Blengino ha annunciato di aver scritto al ministro della Giustizia Carlo Nordio, al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) e alla nuova Garante regionale dei detenuti, chiedendo un intervento immediato. L’appello non riguarda solo il singolo detenuto, ma il sistema nel suo complesso: “è bene che i cittadini sappiano e che le istituzioni smettano di fingere di non sapere”, ha dichiarato.
Il caso si inserisce in un contesto di allarme diffuso. In Piemonte, l’associazione Antigone ha registrato un sovraffollamento medio del 113% e un ricorso crescente ai sedativi. Sempre a Torino, nel carcere minorile, si è consumata una nuova rivolta con i detenuti barricati in teatro. L’OSAPP, sindacato della polizia penitenziaria, parla di istituti “fuori controllo”, segnalando sequestri di microtelefoni, coltelli artigianali e persino smartphone introdotti clandestinamente. A Alessandria, i sindacati hanno denunciato docce guaste per settimane, con conseguenti proteste dei detenuti. Un mosaico di criticità che rende evidente la fragilità di un sistema sotto pressione.
Il nodo centrale è la capacità dello Stato di garantire, anche dietro le sbarre, condizioni rispettose della dignità umana. Nel caso di Nicola, servono subito verifiche clinico-psichiatriche, la messa in sicurezza della cella e il ripristino delle condizioni igieniche minime. Se confermata l’incompatibilità con la detenzione, le autorità dovranno individuare soluzioni alternative, che coniughino cura e sicurezza.
Dal destino di quest’uomo dipende molto più che una vicenda individuale: è in gioco la credibilità di un sistema penitenziario che rischia di normalizzare l’eccezione e trasformare la pena in abbandono. La data del 19 agosto segna l’apertura pubblica di questo caso. Ora la responsabilità passa alle istituzioni, chiamate a decidere se intervenire con rapidità o lasciare che l’immagine del bunker di carta stagnola resti il simbolo di un fallimento collettivo.
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