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Cronaca

È evaso con le stampelle per cercare la ex: il padre lo denuncia, ma il giudice lo rimette in libertà

Aveva tentato di sfondare la porta, ferito un’agente: per il 39enne niente carcere, processo rinviato a settembre

È evaso con le stampelle

È evaso con le stampelle per cercare la ex: il padre lo denuncia, ma il giudice lo rimette in libertà

È uscito di casa con le stampelle, il ginocchio rotto e il divieto assoluto di lasciare l’abitazione, ma questo non gli ha impedito di tentare ancora una volta di raggiungere la sua ex compagna. Lo ha fatto poche ore dopo essere stato arrestato per aver cercato di sfondare la porta dell’abitazione della donna, nel quartiere Santa Rita di Torino. A denunciarlo, stavolta, è stato suo padre, esasperato dal comportamento del figlio e preoccupato che potesse fare del male a qualcuno, o a se stesso.

Protagonista della vicenda è un uomo di 39 anni, senza precedenti penali, ma ormai noto alle forze dell’ordine per la sua ostinazione nel perseguitare l’ex compagna. L’episodio che ha dato origine alla catena di arresti e denunce risale allo scorso giovedì mattina, quando alle 7:10 si è presentato sotto casa della donna. Lei lo aveva lasciato da pochissime ore e aveva bloccato ogni contatto. Nessuna risposta ai messaggi, nessuna chiamata. Così lui ha perso il controllo: ha iniziato a bussare furiosamente, poi a colpire la porta con violenza, nel tentativo di entrare.

A fermarlo è stata una vicina di casa, che ha chiamato il 112. Sul posto è arrivata in pochi minuti una volante della Polizia. Gli agenti hanno cercato di calmare l’uomo, che però ha reagito con aggressività. Nel tentativo di immobilizzarlo, una poliziotta si è ferita al polso, mentre lui stesso, nella colluttazione, è caduto rovinosamente, rompendosi un ginocchio. Dopo l’intervento del 118, l’uomo è stato trasportato in ospedale e dimesso con prognosi e stampelle. Da lì, è stato accompagnato a casa dei genitori, dove avrebbe dovuto restare agli arresti domiciliari in attesa del processo.

La misura restrittiva, però, è durata meno di una giornata. Con una determinazione che ha lasciato perplessi anche i poliziotti, il 39enne ha deciso di evadere. Ha preso le stampelle e ha lasciato l’appartamento, con l’intenzione – riferirà poi il padre – di tornare al negozio dove lavora la ex. Proprio il padre, accortosi dell’uscita, ha chiamato nuovamente il 112: «È uscito, ha detto che vuole andare da lei», ha riferito al telefono. Una chiamata che ha probabilmente evitato conseguenze peggiori.

Gli agenti lo hanno fermato prima che potesse arrivare a destinazione e lo hanno arrestato per la seconda volta, questa volta per evasione, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. La Procura di Torino, preoccupata per la pericolosità del soggetto e per il rischio che potesse reiterare comportamenti simili, ha chiesto per lui la custodia cautelare in carcere. Ma la decisione del giudice ha suscitato più di un interrogativo: l’arresto è stato convalidato, ma l’uomo è stato rimesso in libertà, con il solo obbligo di firma quotidiana in commissariato. Il processo è stato rinviato a settembre.

Difeso dall’avvocato Michele Ianniello, il 39enne ha sostenuto di essere uscito “perché preoccupato per la donna”, non riuscendo a ottenere notizie da lei. Ma per la Procura si tratta di una forma di ossessione e controllo che ha già oltrepassato il limite e che rischia di evolvere in comportamenti pericolosi. L’episodio si inserisce in un contesto di violenza relazionale crescente, in cui anche i soggetti privi di precedenti possono manifestare condotte aggressive e persecutorie, soprattutto nelle fasi immediatamente successive alla rottura di un rapporto.

Quello che inquieta, in questo caso, è la rapidità con cui l’uomo è passato dal controllo al gesto violento, e poi alla violazione della misura cautelare, nonostante le difficoltà fisiche. Una dinamica che testimonia un alto grado di impulsività e una scarsa percezione del rischio, elementi che – secondo alcuni operatori – dovrebbero essere valutati con maggiore severità nei confronti di chi si rende protagonista di comportamenti reiterati contro le ex compagne.

Nel quartiere di Santa Rita, l’episodio ha creato allarme. La donna, che ha chiesto protezione, ora si trova in una località riservata. La vicina che ha chiamato la polizia ha raccontato di aver udito urla e colpi molto forti: “Sembrava stesse sfondando tutto”, ha riferito. “Ho temuto per lei”. Un timore che oggi resta, soprattutto alla luce della decisione del tribunale, che – seppure fondata su criteri giuridici – non ha convinto chi ha vissuto la scena da vicino.

Il caso è l’ennesimo esempio di come la giustizia fatichi a reagire con tempestività e fermezza nei confronti di condotte che – pur non sfociando immediatamente in violenza fisica – costituiscono forme gravi di pressione psicologica, persecuzione, controllo. I numeri del femminicidio in Italia lo dimostrano: molte donne uccise avevano già denunciato, o comunque avevano alle spalle episodi simili.

Il processo di settembre dovrà chiarire le responsabilità dell’uomo e stabilire se esistano i presupposti per misure più restrittive. Ma per molti, la domanda è già un’altra: bisogna aspettare che ci scappi il morto per intervenire con più decisione?

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