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Cronaca

Spaccio e coltivazioni indoor, smantellati tre clan albanesi attivi tra Bra e nord Italia

Undici arresti, sette ricercati. Recuperata oltre una tonnellata di droga e 15mila euro in contanti

Operazione Djali

Spaccio e coltivazioni indoor, smantellati tre clan albanesi attivi tra Bra e nord Italia

Con un blitz scattato all’alba del 17 luglio, i carabinieri di Bra hanno chiuso il cerchio sull’operazione Djali, una maxi indagine iniziata nell’ottobre 2024 e culminata oggi con undici arresti per reati legati al traffico di droga. I soggetti fermati, tutti di nazionalità albanese, sono accusati a vario titolo di spaccio, produzione e coltivazione di stupefacenti, oltre che di furto di energia elettrica.

Altre sette persone sono attualmente ricercate a livello internazionale, segno che la rete criminale non era solo locale, ma articolata con contatti e ramificazioni anche fuori dai confini italiani.

I numeri dell’operazione parlano chiaro: oltre una tonnellata di sostanze sequestrate, tra marijuana confezionata e piante di cannabis sativa coltivate indoor. Il valore sul mercato, secondo le stime degli inquirenti, si aggira intorno a un milione e mezzo di euro. Ma non è tutto: durante le perquisizioni domiciliari sono stati rinvenuti 800 grammi di cocaina pura e 15.000 euro in contanti, segnale evidente di un giro ben strutturato e altamente remunerativo.

Al centro dell’indagine, che prende il nome dalla parola albanese “djali”ragazzo –, ci sono tre gruppi criminali distinti ma con un’organizzazione simile, efficiente e pericolosamente invisibile. I primi due erano attivi nello spaccio al dettaglio di cocaina nel Braidese, e avevano perfezionato un sistema tanto semplice quanto efficace. Giovani incensurati, fatti arrivare in Italia con un visto turistico, venivano impiegati come pusher temporanei, con uno stipendio mensile di circa 3.000 euro. Al termine dei tre mesi di permanenza legale, venivano rimandati in Albania e sostituiti da altri connazionali, con un meccanismo ciclico difficile da intercettare.

Il terzo gruppo, invece, si era specializzato nella coltivazione indoor di cannabis, operando in piantagioni clandestine dislocate in più località del nord Italia. Questi soggetti sono stati definiti dagli investigatori “veri professionisti” del settore, tanto da essere ingaggiati come consulenti tecnici da altri sodalizi criminali per avviare e gestire nuove coltivazioni. Il loro know-how era tale da garantire raccolti ad alta resa, ottenuti grazie all’uso intensivo di lampade, serre e impianti di irrigazione illegali, spesso allacciati abusivamente alla rete elettrica.

Il furto di energia elettrica, infatti, è uno degli elementi ricorrenti nella ricostruzione dell’attività illecita. Serviva ad alimentare gli impianti indoor, evitando bollette sospette che potessero insospettire le autorità. In alcuni casi, le piantagioni si trovavano in capannoni dismessi o case isolate, dotate di sistemi di sorveglianza interni e accessi nascosti.

A guidare le indagini è stata la Compagnia dei Carabinieri di Bra, con il supporto delle unità cinofile e del reparto operativo di Cuneo. Il lavoro investigativo ha richiesto mesi di pedinamenti, intercettazioni e appostamenti, oltre all’analisi di flussi finanziari e movimenti sospetti sul territorio. Il tutto coordinato dalla Procura della Repubblica di Asti, che ha emesso i mandati d’arresto sulla base di un impianto accusatorio dettagliato e supportato da numerose prove documentali.

L’operazione Djali rappresenta uno dei più importanti interventi antidroga mai condotti nel Braidese negli ultimi anni, non solo per la quantità di sostanze sequestrate ma anche per la struttura dell’organizzazione criminale, che dimostra come il narcotraffico moderno si affidi sempre più a strategie flessibili, impersonali e difficili da contrastare.

Ora, con sette latitanti ancora da individuare, le indagini proseguono a livello internazionale, con il coinvolgimento della polizia albanese e dell’Europol. Resta alta l’attenzione su un fenomeno che, anche in zone considerate “tranquille” come la provincia di Cuneo, si insinua nei tessuti urbani e agricoli, sfruttando case isolate, visti turistici e manodopera senza precedenti penali.

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