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Cronaca

Torino, ginecologo a processo per molestie sessuali si difende: "In aula dimostreremo la nostra correttezza"

Il ginecologo torinese rinviato a giudizio per quattro capi d’accusa su dieci: i legali puntano sull’archiviazione della maggior parte delle ipotesi

Torino, ginecologo a processo

Torino, ginecologo a processo per molestie sessuali, si difende: "In aula dimostreremo la nostra correttezza"

Si aprirà il 15 settembre davanti al Gup del Tribunale di Torino l’udienza preliminare a carico di Silvio Viale, medico ginecologo noto per il suo attivismo pro-aborto e consigliere comunale di Più Europa, accusato dalla Procura di comportamenti molesti e a sfondo sessuale nei confronti di alcune pazienti. Un caso delicato, che affonda le sue radici in una lunga indagine giudiziaria iniziata mesi fa e che ora si avvia verso il primo snodo formale del procedimento.

Le accuse mosse a Viale sono gravi, ma – come sottolineano lui stesso e il suo legale Cosimo Palumbo in una nota diffusa ieri – solo una parte delle ipotesi iniziali ha retto all’esame degli inquirenti. Su dieci ipotesi totali, quattro sono le imputazioni per cui il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio. Le restanti sei, secondo quanto affermano gli stessi indagati, sarebbero state archiviate o comunque non ritenute meritevoli di approdo in aula.

Due delle quattro accuse ancora pendenti derivano da testimonianze di donne già presenti nel decreto di perquisizione originario, mentre le altre due provengono presumibilmente da fonti emerse successivamente. Proprio questo punto, secondo la difesa, dimostrerebbe come gran parte dell’impianto accusatorio si sia ridimensionato nel tempo.

Nel comunicato diffuso a mezzo stampa, Viale e Palumbo rivendicano la piena collaborazione offerta agli inquirenti: dalla messa a disposizione degli strumenti informatici al lungo interrogatorio a cui l’imputato si è sottoposto «nonostante le difficoltà di ricostruire visite mediche risalenti nel tempo». Le indagini hanno coinvolto anche l’analisi della copia forense dei dispositivi elettronici in uso al medico: secondo la difesa, questa ha permesso di chiarire che non esistono foto di nudi o di parti intime delle pazienti, smentendo le ipotesi ventilate da alcuni organi di stampa nei mesi passati.

La vicenda, pur nella sua complessità, ha suscitato un acceso dibattito, anche in virtù della figura pubblica ricoperta da Silvio Viale. Attivista laico, medico noto per l’impegno a favore della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, Viale è da anni una figura divisiva nel dibattito bioetico e sanitario. Non a caso, la stessa nota firmata da lui e dal suo avvocato contiene una precisazione polemica nei confronti di un quotidiano nazionale che lo aveva definito, per errore, “medico antiabortista”. «È noto il suo pluridecennale impegno sulla 194 – scrivono – tanto da essere definito “Dottor Morte” dai suoi detrattori».

Dietro le quinte del caso penale, c’è però anche il peso mediatico di una figura simbolo. La difesa ha scelto di mantenere il silenzio fino a questo momento proprio per evitare quello che definisce “un processo mediatico anticipato”, che avrebbe danneggiato sia le persone coinvolte come presunte vittime, sia lo stesso imputato. Ora, con il rinvio a giudizio fissato e la pubblicazione degli atti, i tempi del processo si avvicinano, e la strategia sembra orientata a giocarsi tutte le carte nelle sedi ufficiali, senza clamore esterno.

Ma cosa resta oggi delle dieci imputazioni che avevano scatenato l’attenzione mediatica? Secondo la difesa, ben sei sarebbero state oggetto di archiviazione – sebbene non siano ancora stati forniti documenti ufficiali a conferma di ciò – mentre altre quattro sono quelle per cui si discuterà a settembre. E su queste ultime, l’avvocato Palumbo si dice certo di poter dimostrare l’insussistenza dei reati contestati.

Nel frattempo, il clima resta teso, sia in ambito politico che tra gli operatori sanitari. La figura di Viale, infatti, è strettamente legata anche a diverse battaglie condotte all’interno delle strutture pubbliche torinesi, in particolare all’Ospedale Sant’Anna, dove ha prestato servizio per anni come ginecologo favorevole all’applicazione della legge sull’aborto. Non è un dettaglio secondario: tra i colleghi, molti lo ricordano come un medico dalla forte etica professionale, anche se alcuni ex pazienti hanno invece riferito comportamenti ambigui, sfociati poi nelle denunce che hanno dato origine all’inchiesta.

Proprio su questo fronte, numerose persone informate dei fatti sono state sentite in Procura, e secondo il comunicato della difesa, molte di queste avrebbero confermato la correttezza dei comportamenti del medico. Ma il peso della giustizia resta ora sul piatto del processo: saranno i giudici, in udienza preliminare e poi eventualmente in dibattimento, a stabilire se le condotte di Viale configurino reati oppure no.

Per il momento, né Viale né il suo avvocato rilasceranno ulteriori dichiarazioni. Una scelta netta, sottolineata anche nella nota: «Il processo si fa in aula e non sui giornali». Dietro a questa posizione, la volontà di ricondurre l’intera vicenda alla sua dimensione istituzionale, evitando sovraesposizioni che potrebbero influenzare l’opinione pubblica o strumentalizzazioni politiche.

Ma il nodo resta tutto da sciogliere, e la città di Torino guarda con attenzione agli sviluppi. Da un lato, c’è il diritto delle donne – qualora le accuse venissero confermate – a ottenere giustizia per eventuali abusi. Dall’altro, la presunzione d’innocenza che protegge ogni imputato fino a sentenza definitiva. In mezzo, un processo difficile, in un campo – quello della medicina e della relazione medico-paziente – già di per sé intrinsecamente delicato.

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