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Cronaca

Sette coltellate alla moglie e l'invocazione a Satana: ergastolo per Giovanni Salamone dopo la strage di Solero

La Corte d'Assise respinge ogni attenuante: i figli ottengono una provvisionale e chiedono solo di tornare a vivere

Sette coltellate alla moglie e l'invocazione a Satana: ergastolo per Giovanni Salamone dopo la strage di Solero

Giovanni Salomone e Patrizia Russo

Era il 16 ottobre del 2023 quando Patrizia Russo, insegnante di sostegno, venne trovata senza vita nella sua abitazione piemontese. Il marito, Giovanni Salamone, la colpì con sette coltellate, poi chiamò i carabinieri confessando l’omicidio con parole deliranti: «Sono posseduto da Satana». Da quel momento la vicenda ha assunto contorni oscuri, e solo oggi, con la sentenza della Corte d’Assise di Alessandria, si chiude almeno il primo capitolo giudiziario di una storia familiare devastata dalla violenza.

Il pubblico ministero aveva chiesto 21 anni, lasciando uno spiraglio a un eventuale vizio parziale di mente. Ma la Corte ha deciso diversamente: nessuna attenuante, nessuna scappatoia, nessuna riduzione. Per i giudici, Salamone era perfettamente in grado di intendere e volere quando ha inferto quei colpi mortali. L’ergastolo è arrivato come una sentenza definitiva non solo per lui, ma anche per una famiglia distrutta.

Durante il processo, è emerso che l'uomo soffriva di depressione, aggravata da problemi economici e dalla disoccupazione. Dopo l’arresto, ha anche tentato il suicidio nel carcere dove è ancora detenuto. Ma per i giudici questi elementi non hanno scalfito la gravità del gesto, né giustificato l’omicidio.

La coppia si era trasferita a Solero da pochi anni, dopo che Patrizia aveva trovato lavoro in una scuola locale. Una nuova vita, che lei sperava potesse dare stabilità alla famiglia. Invece, la sua esistenza è stata spezzata tra le mura di casa, nell’unico luogo che avrebbe dovuto offrirle sicurezza.

A costituirsi parte civile, i figli della coppia, Francesco e Giuliana, oggi 27 e 23 anni. Le avvocate Maria Luisa Butticè e Anna Maria Tortorici, che li hanno seguiti in aula, hanno commentato con parole dure ma dignitose: «Siamo onestamente soddisfatte per l’esito sanzionatorio, perché riconosce la piena capacità dell’imputato nella commissione del delitto».

Secondo la Corte, la vittima non ha avuto alcuna possibilità di difendersi. L’omicidio è stato repentino, crudele, consumato in casa con un coltello da cucina. E mentre la difesa cercava di insistere su uno stato psichico alterato, la Corte ha riconosciuto la volontà chiara, lucida e determinata dell’imputato.

La sentenza ha disposto anche una provvisionale di 250 mila euro a ciascun figlio, che rappresenta solo un primo parziale ristoro per chi ha perso madre e padre in un colpo solo. «Restiamo accanto a questi ragazzi per aiutarli a ricostruire almeno un minimo di tranquillità economica», hanno aggiunto le legali.

«Giuliana ha dato voce al dolore della madre con dignità e rispetto», ha aggiunto Butticè. «La Corte ha fatto quello che la giustizia deve fare: riconoscere il valore delle vittime, in primis Patrizia, che non ha potuto difendersi. Non si può disporre della vita altrui come si vuole».

Nel frattempo, i legali attendono di leggere le motivazioni della sentenza, ma non è escluso che la difesa possa fare appello. Per ora, però, resta una certezza: la giustizia ha dato un segnale forte, ponendo le vittime e i loro familiari al centro della sua azione.

E mentre Salamone resta in cella con una condanna a vita, i figli tentano di tornare a vivere, orfani due volte, ma finalmente liberi da una lunga attesa processuale che ha amplificato un dolore già insopportabile.

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