A distanza di quattro anni dai disordini in Valle di Susa, arriva la condanna per dieci attivisti No Tav coinvolti nei violenti scontri del 24 luglio 2020, nei pressi del cantiere di Chiomonte. La sentenza, emessa nei giorni scorsi dal tribunale di Torino, stabilisce pene comprese tra undici e ventiquattro mesi di reclusione per i partecipanti a quello che venne definito in aula un “parapiglia” con le forze dell’ordine. Ma il punto più delicato resta il ferimento del dirigente di polizia Gianmaria Sertorio, oggi questore di Aosta, colpito alla testa da un lungo palo durante le concitate fasi dello sgombero.
Quella sera, secondo la ricostruzione processuale, i manifestanti avevano eretto delle barricate lungo un sentiero di accesso al cantiere, e l’intervento degli agenti in assetto antisommossa aveva dato origine a un momento di alta tensione. Il palo in questione era stato portato da un attivista per piantarlo a terra, come gesto simbolico di resistenza non violenta. Le difese hanno sostenuto che si trattava di una “linea di demarcazione”, non di un’arma.
Nei filmati visionati in aula, si osserva che l’oggetto è impugnato da sei manifestanti e da un funzionario di polizia durante un tira e molla: è proprio in quella dinamica che il palo cade lateralmente e finisce per colpire alla testa sia Sertorio che un altro commissario. I legali degli imputati hanno parlato di un incidente fortuito, non di un’aggressione intenzionale. Ma per i giudici le responsabilità penali restano, e la linea difensiva non è bastata ad evitare la condanna.
Il processo ha riaperto il dibattito sul livello di tensione sociale e politica che continua ad attraversare la Valle di Susa ogni volta che si parla di Tav. Da una parte il fronte delle forze dell’ordine, che da anni denuncia il clima ostile e pericoloso durante le manifestazioni nei pressi dei cantieri. Dall’altra il movimento No Tav, che da sempre si considera oggetto di una repressione sproporzionata rispetto alla propria azione di protesta.
La condanna, benché contenuta, rappresenta comunque un precedente giuridico pesante per chi partecipa alle mobilitazioni più dure. E torna a mettere al centro della scena anche il nome di Gianmaria Sertorio, figura nota nel panorama dell’ordine pubblico piemontese, che proprio dopo quell’episodio fu trasferito e oggi guida la questura della Valle d’Aosta.
In attesa di eventuali ricorsi in appello, le reazioni non si sono fatte attendere. Ambienti vicini agli attivisti parlano di sentenza politica, mentre dai sindacati di polizia arrivano parole di soddisfazione.
Resta il fatto che il cantiere Tav di Chiomonte, nonostante le opere di blindatura e gli anni trascorsi, continua ad essere un punto nevralgico di frizione civile, simbolo di una frattura che la giustizia non riesce a sanare. Almeno finché la questione Tav resterà confinata in aule blindate e boschi militarizzati, e non in uno spazio pubblico di confronto democratico reale.
