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Cronaca
14 Luglio 2025 - 16:21
Giovanni Marini
Una carriera sulle curve più insidiose d’Europa e un epilogo da film criminale, tra violenza, vendetta e avidità. Il protagonista di questa vicenda che ha scosso Torino è Giovanni Marini, 85 anni, ex pilota di rally con un passato sportivo importante nella scuderia Lancia, finito in ospedale massacrato di botte, legato con fascette da elettricista, lasciato agonizzante sul pavimento di casa. A ridurlo così, secondo gli inquirenti, è stato un vero e proprio commando assoldato da Maria Rovere, 70 anni, che si era autoproclamata sua “dama di compagnia” e pretendeva di incassare somme ingenti dall’anziano vedovo. Quando lui ha detto no – «E io non ti pago», avrebbe replicato –, lei ha giurato vendetta.
La violenza si è consumata otto mesi fa, nell’appartamento di via Parmentola a Torino, dove Marini viveva da solo. In due, incappucciati, hanno sfondato la porta con le chiavi fornite dalla Rovere. Lo hanno colpito con il calcio di una pistola alla testa, poi preso a calci e pugni senza pietà, fino a lasciarlo privo di sensi, mani e piedi legati. Un’esecuzione punitiva travestita da rapina: per rendere la scena credibile, si sono portati via un Rolex e un secondo orologio custoditi in un cassetto. Ma non era il furto il vero obiettivo, bensì una spedizione punitiva organizzata con premeditazione, rabbia e cinismo.
A finire in manette con l'accusa di concorso in rapina e lesioni aggravate sono stati in cinque: Matteo Lupano, tatuatore trentenne di Settimo Torinese; Federico Vincenzo Scala, ventottenne definito dagli atti come un “balordo di periferia”; i due presunti “intermediari” Rosario Criaco e Adriana Nunzia Castelluccia, marito e moglie; e infine la mente dell’intera operazione, Maria Rovere, oggi al centro dell’inchiesta coordinata dal pm Paolo Scafi. Tutti sono accusati di aver orchestrato un’aggressione brutale, senza alcuna pietà per la vittima.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la Rovere nutriva un risentimento feroce verso l’ex pilota, che nei mesi precedenti l’aveva allontanata intuendo il rischio di raggiri. L’uomo, che pur avanti con l’età manteneva lucidità e autonomia, aveva capito le vere intenzioni della donna e dei suoi sodali. E aveva chiuso ogni rapporto. Ma la Rovere non si è rassegnata, e ha deciso di “dargli una lezione”, incaricando i suoi complici con la promessa che si sarebbero potuti tenere il bottino trovato in casa.
Dopo l’aggressione, Marini è stato trasportato d’urgenza al CTO di Torino, in condizioni gravi. Ha iniziato una lunga convalescenza, prima in clinica riabilitativa, poi in una RSA, e oggi ha lasciato Torino: vive in una residenza protetta non lontano da alcuni parenti. Un calvario fisico e psicologico per un uomo che aveva affrontato gare durissime come la Targa Florio e il Rally di Montecarlo, uscendo sempre a testa alta, ma che nella sua casa non ha trovato lo stesso tipo di protezione.
Il passato sportivo di Marini è tutt’altro che trascurabile. Nella Lancia, era stato al volante di modelli leggendari come l’Appia, la Fulvia HF e l’Abarth 1300 S. Aveva costruito una reputazione solida tra gli anni ’60 e ’70, distinguendosi in gare di regolarità e raccogliendo ottimi piazzamenti in competizioni di primo piano. Un palmarès di tutto rispetto, messo oggi in ombra da una pagina nera che sa più di cronaca giudiziaria che di gloria sportiva.
La vicenda apre interrogativi inquietanti sulla fragilità degli anziani soli, sull’avidità di chi li circonda e sulla facilità con cui piccoli clan riescono a organizzare aggressioni brutali con movente economico. In attesa del processo, Marini rimane il simbolo di una generazione che ha dato tutto alla vita pubblica – sport, lavoro, passione – ma che rischia di finire dimenticata e sfruttata.
Lui, almeno, ha avuto la forza di sopravvivere. Ma a che prezzo.
LA VOCE DEL CANAVESE
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