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10 Maggio 2025 - 17:03
Susa, migliaia in marcia contro la Tav: stazione chiusa con i nastri, 13 sindaci in corteo
La piana di Susa si sta riempiendo di volti, passi, bandiere e determinazione. È in corso la marcia popolare No Tav del 10 maggio 2025, e la valle ha risposto con forza e presenza. Si parte dall’incrocio della frazione Traduerivi sulla statale 24, primo punto di ritrovo previsto alle ore 13. Poi il corteo si snoda, cresce, ingloba gruppi, comitati, cittadini, famiglie, amministratori. È una fiumana viva, attraversata da canti, cori, racconti, memoria, rabbia e progetti.
Tutto parla della piana. Tutto chiede ascolto per una valle che non si rassegna. La marcia di oggi è la manifestazione visibile di una consapevolezza maturata negli anni: questa non è un’opera per il territorio, ma sul territorio, contro il territorio. Per questo in tanti sfilano e alzano la voce. I cartelli lo dicono chiaramente: “Difendiamo la piana di Susa”, “No al deposito di smarino”, “No alla chiusura della stazione”. E non sono solo slogan, ma messaggi concreti, chiari, motivati.
Alle 15 il corteo passa davanti alla stazione ferroviaria di Susa, secondo punto di ritrovo simbolico e strategico. È lì che si concentra l’attenzione, ed è lì che il corteo compie un gesto forte: l’edificio viene simbolicamente avvolto da nastri bianchi e rossi, gli stessi dei cantieri. Un’azione che dice tutto: questa stazione sarà “temporaneamente” chiusa per consentire l’avvio del tunnel di base e della stazione internazionale nella piana di San Giuliano. Ma la parola “temporaneamente” genera più di un sospetto. Quando una stazione chiude, in Italia, raramente riapre davvero.
A parlare davanti alla stazione sono i rappresentanti del comitato pendolari Sfm3. Le loro parole sono cariche di tensione e concretezza. Parlano di corse che salteranno, di tempi di percorrenza raddoppiati, di una valle tagliata fuori. “Ci serve il treno oggi, non un’opera tra trent’anni”, dicono. Le loro voci si mescolano ai cori del corteo. In tanti applaudono, in tanti annuiscono. La verità è palpabile: chi vive la valle, la percorre, la abita ogni giorno, ha ben chiaro che la linea storica Susa-Bussoleno è vitale.
In testa al corteo sfilano 13 sindaci con la fascia tricolore, guidati dal presidente dell’Unione montana Valle Susa, Pacifico Banchieri. È un gesto politico e civico insieme. Non una presenza di circostanza, ma una dichiarazione: questa battaglia è anche istituzionale. Non è più solo dei comitati, ma dell’intera valle, dei suoi rappresentanti legittimati. E tra la gente si respira rispetto. La valle si difende unita, e questo fa la differenza.
I manifestanti arrivano in città anche grazie al servizio navetta organizzato con partenza dalla Piazza della Stazione di Bussoleno, attivo dalle 11:45. Una logistica costruita dal basso, con la collaborazione di tutti. È un’organizzazione che funziona perché è vissuta, reale, sentita. La giornata prosegue tra camminate, testimonianze, soste simboliche davanti a luoghi minacciati dai cantieri: scuole, ospedali, il Municipio. La linea tratteggiata tra le tappe della marcia non è solo su un volantino, è scritta nei volti di chi la percorre.
La giornata però non si conclude con la protesta. Alle 18, in Piazza A. Favro, proprio davanti all’ITIS Ferrari, va in scena un concerto che è celebrazione e resistenza insieme. Sul palco si alternano Le Schiene di Schiele, Henker Faust, Dremodra, e infine lo spettacolo Bestierare con Elio Germano. È un evento nell’evento. È la dimostrazione che la cultura non è accessoria, ma centrale in una lotta che non ha mai smesso di essere anche poetica, immaginifica, collettiva.
Insomma, la Valsusa oggi non si limita a dire no. Dice sì alla sua identità, alla sua voce, al suo paesaggio, alla sua ferrovia che funziona, alle sue persone che lottano. Dice sì a un modo di fare politica che parte dalla realtà e non dai finanziamenti. Dice sì a una visione alternativa di sviluppo, che non passa dal consumo del suolo ma dalla cura dei beni comuni. E chi pensava che la protesta No Tav fosse sgonfia o logora, oggi ha avuto una risposta visiva, concreta e sonora. La valle c’è, marcia, canta e non si arrende.
Oggi, mentre il popolo No TAV cammina lungo le strade sterrate di Traduerivi, tra case basse e orti di confine, Nicoletta Dosio non c’è. Non può esserci. È rinchiusa in casa, agli arresti domiciliari, come accade da anni, a intermittenza, ogni volta che la giustizia decide di colpire più l’esempio che il reato. Ma come sempre, la sua assenza è solo fisica. Il cuore, la voce, la memoria di una vita intera di lotta sono lì. E battono ancora forte.
Alle 14:30 scrive su Facebook, con lucidità intatta e la solita dolce rabbia: “Vorrei essere in manifestazione con voi, care compagne e compagni NO TAV. Vi immagino in cammino dalla frazione Traduerivi, lungo quei terreni già occupati dall’autoporto ed ora, se dovessero vincere i signori del TAV, condannati a diventare un’enorme discarica di veleni a cielo aperto…”
Quelle parole raccontano tutto: un paesaggio che cambia, una comunità che si svuota, un’opera che promette progresso e lascia dietro di sé detriti contenenti amianto e uranio, boschi rasi al suolo, aria avvelenata da polveri di smarino, scuole isolate, ospedali irraggiungibili. Una valle fatta prigione, come la casa dove oggi Nicoletta è costretta a restare.
Ma chi è questa donna che da decenni resiste, accetta il carcere, e continua a parlare come fosse il primo giorno?
Nicoletta Dosio è nata nel 1942, a pochi chilometri da quella montagna che oggi cerca di difendere. È stata insegnante di latino e greco, comunista irriducibile, militante di lungo corso. La sua storia si intreccia a quella del movimento No TAV fin dai primi anni ‘90, quando in Val di Susa iniziò a prendere forma una delle più longeve resistenze territoriali d’Europa. Sempre in prima fila, Nicoletta ha camminato, parlato, scritto. E quando, nel 2019, le fu chiesto di barattare la libertà con un patteggiamento, scelse il carcere. Aveva 77 anni. Disse: “Non sono io a dover chiedere scusa.”
Da allora, è diventata qualcosa di più di un’attivista. È diventata un simbolo. Un punto di riferimento per chi crede ancora nella possibilità di resistere. Anche quando il prezzo è alto.
E oggi, ancora una volta, dalle stanze in cui è confinata, Nicoletta ricorda al movimento – e al Paese – che la lotta non è solo contro un treno. È contro un intero sistema: “Un sistema che devasta e impoverisce. Che reprime. Che cancella le relazioni e gli affetti. Ma noi abbiamo saputo costruire una collettività. Abbiamo impedito l’interiorizzazione della sconfitta.”
È una dichiarazione d’amore e di militanza. Senza enfasi, ma con quella verità che si sente nelle viscere: “Con noi resistono le cose belle della vita: la dignità, l’allegria di ritrovarsi, le buone ragioni per cui lottare ancora, sempre.”
Non servono trombe, slogan, bandiere. Basta questa frase, che arriva secca, definitiva:
“Un abbraccio, con rabbia e tenerezza.”
Come dire: io sono qui. E voi, non smettete.
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