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06 Luglio 2025 - 15:29
Sergio Ramelli, un ragazzo ucciso due volte: a sprangate, e dalla memoria
Nel giorno in cui avrebbe compiuto 69 anni, Sergio Ramelli riceve un tributo significativo: il primo spazio pubblico in Piemonte a lui intitolato. Il giardino, situato a Verolengo, è stato inaugurato alla presenza del sindaco Rosanna Giachello, dell’assistente al sindaco Domenico Giraulo e di numerose autorità, tra cui l’onorevole Paola Frassinetti, sottosegretario all’Istruzione e da sempre in prima linea nel promuovere il ricordo del giovane militante ucciso. Durante la cerimonia è stato letto un messaggio del Presidente del Senato Ignazio La Russa.
“Con questo gesto simbolico vogliamo rappresentare la libertà di pensiero così come sancito nell’Art. 1 della nostra Costituzione, libertà che è stata negata a un ragazzo diciottenne”, ha dichiarato Giachello. “Vogliamo far capire che cosa può produrre l’odio e manifestare un messaggio forte contro la violenza.”
“Nel giorno del compleanno di Sergio Ramelli, a 50 anni dal suo brutale assassinio per mano di un gruppo di violenti vigliacchi, possiamo oggi inaugurare questo spazio pubblico alla memoria di uno studente di appena diciotto anni ucciso a sprangate sotto casa in nome dell’antifascismo militante”, ha detto Domenico Giraulo, delegato alle politiche sociali e promotore dell’intitolazione. “Il sacrificio di Sergio e dei tanti giovani assassinati per le loro idee non sarà mai dimenticato.”
Presenti anche numerosi esponenti politici locali: il consigliere regionale Roberto Ravello, Matteo Rossino dell’associazione Ardea, i consiglieri comunali di Rivoli Valerio Calosso e Federico Depetris.
Sergio Ramelli era uno studente milanese di appena diciott’anni, iscritto al Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano. Frequentava l’ITIS Ettore Molinari di Milano dove, nel 1974, scrisse un tema scolastico in cui criticava le Brigate Rosse e il silenzio dello Stato davanti all’uccisione di due militanti missini. Quel tema, affisso in bacheca da alcuni compagni, lo rese bersaglio. Il 13 marzo 1975 fu aggredito sotto casa da militanti di Avanguardia Operaia con chiavi inglesi. Dopo 47 giorni di agonia, morì il 29 aprile 1975. I suoi aggressori furono identificati solo dieci anni dopo e condannati per omicidio volontario.
A cinquant’anni dalla sua morte, la figura di Ramelli continua a dividere e a interrogare. Il suo nome è diventato simbolo della violenza politica degli anni di piombo. Nel 2025, oltre all’intitolazione del giardino a Verolengo, gli è stato dedicato anche un francobollo commemorativo. Ma non sono mancate polemiche: a Milano, in occasione delle commemorazioni ufficiali, alcuni collettivi studenteschi hanno protestato, rivendicando una lettura opposta della sua figura.
Eppure, il giardino a lui dedicato nel Chivassese assume un valore che va oltre l’ideologia: è un invito alla riflessione sulla violenza politica, un monito a non ripetere gli errori del passato. È anche, forse, l’inizio di una memoria condivisa che sappia riconoscere il dolore altrui, al di là delle appartenenze. Nel Chivassese, di proteste, non si sono sollevate.
Celebrazioni in ricordo di Sergio Ramelli a Verolengo
È tornato a casa come ogni pomeriggio. Ha parcheggiato il motorino. Ha fatto due passi verso il portone. Non è mai arrivato alla maniglia. Era il 13 marzo 1975. Sergio Ramelli, 18 anni, studente dell’ITIS Ettore Molinari di Milano, fu aggredito a colpi di chiave inglese da un gruppo di militanti legati ad Avanguardia Operaia. Morirà il 29 aprile, dopo 47 giorni di coma.
La sua colpa? Aver scritto un tema in cui condannava le Brigate Rosse e lamentava il silenzio delle istituzioni per l’assassinio di due militanti missini, Mazzola e Giralucci. Quel testo fu sottratto, affisso in bacheca e trasformato in un bersaglio politico.
Sergio Ramelli era iscritto da poco al Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano. Era il fiduciario del movimento nel suo istituto, ma non si segnalava per fanatismo. Secondo le indagini, non aveva precedenti. Non partecipava a risse. Non distribuiva volantini.
Quella scuola, il “Molinari”, era un luogo ostile. Negli anni Settanta, le aule di molti istituti superiori milanesi erano diventate palestre di scontro politico. Avanguardia Operaia, Lotta Continua, Movimento Studentesco si contendevano il controllo.
L’autorità scolastica, debole o complice, tollerava soprusi continui. Alcuni insegnanti partecipavano attivamente alla repressione del dissenso.
Contro Ramelli si scatenò un clima persecutorio. Fu minacciato, strattonato, prelevato con la forza durante le lezioni, accusato senza prove di essere un “picchiatore nero”. Gli fecero cancellare scritte politiche con la forza, lo fotografarono. Organizzarono perfino un “processo popolare” in aula magna. Condannato da docenti e studenti a lasciare la scuola. La preside non intervenne. L’unico professore che provò a difenderlo fu trasferito. A febbraio 1975 gli fecero esplodere l’auto sotto casa. Un mese dopo lo accerchiarono in un bar con il fratello. Gli ultimi giorni della sua vita furono un assedio.
Poi arrivò il commando. Otto ragazzi. Tutti militanti di estrema sinistra. Tutti studenti universitari, quasi tutti di medicina. Marco Costa, Giuseppe Ferrari Bravo, Franco Castelli, Claudio Colosio, Antonio Belpiede, Claudio Scazza, Luigi Montinari, Brunella Colombelli. Erano “il servizio d’ordine” di Avanguardia Operaia. Lo aspettarono in via Paladini. Lo colpirono con chiavi inglesi Hazet da 36 mm, 3,5 chili l’una. Lo colpirono alla testa. Alla nuca. Alla faccia.
Una signora gridò dal balcone: “Basta! Così lo ammazzate!”. Nessuno si fermò.
Portato d’urgenza all’Ospedale Maggiore, venne operato alla testa. Cinque ore sotto i ferri. Poi il coma. Brevi risvegli. Ricadute. Emorragie cerebrali. Fino al 29 aprile. Sergio Ramelli morì a 18 anni. Il giorno dopo, sui muri di casa comparve una minaccia: “Se tuo fratello Luigi non sparisce entro 48 ore, facciamo fuori anche lui”.
Ai funerali, il feretro fu portato in chiesa di nascosto. Corteo vietato. La folla era pronta. Alcuni salutarono il feretro con il braccio teso. Altri fotografarono tutto dalle finestre dell’università. Quelle foto finiranno poi in uno schedario segreto con oltre 10.000 nomi. Era il “covo” di viale Bligny, appartamento intestato a Ferrari Bravo, scoperto nel 1985. Documenti, foto, nomi. Obiettivi. I nemici della rivoluzione.
L’inchiesta giudiziaria partì solo dieci anni dopo. La pista Avanguardia Operaia venne fuori nel 1985 grazie a tre pentiti. I colpevoli furono arrestati nel settembre di quell’anno. Il processo iniziò nel marzo 1987. Il clima fu surreale. Alcuni imputati erano diventati medici stimati, ricercatori, consiglieri comunali. Brunella Colombelli, unica donna, lavorava come ricercatrice a Ginevra. Giovanni Di Domenico, uno degli organizzatori, era consigliere di Democrazia Proletaria a Gorgonzola. Antonio Belpiede, consigliere comunale del PCI a Cerignola.
Durante il processo, alcuni imputati confessarono. Chiesero perdono alla madre. Offrirono un risarcimento. Anita Ramelli rifiutò. Disse solo: “Troppo comodo adesso.”
In primo grado le condanne furono per omicidio preterintenzionale. Da 11 a 15 anni. Nel 1989, in appello, la Corte riconobbe il reato come omicidio volontario, ma con attenuanti. Le pene furono ridotte. In Cassazione le sentenze furono confermate. Nessuno fece più di qualche anno di carcere. Alcuni tornarono alle loro professioni. Altri sparirono.
Sergio Ramelli, intanto, era diventato un simbolo. Per la destra, un martire. Per la sinistra, un rimosso. Ogni anno, dal 1976, la sua morte viene commemorata da cortei e fiaccolate. I media, spesso, tacciono. Lo Stato, per anni, ha evitato di parlarne. Fino a tempi recenti, il suo nome è stato circondato da silenzio e imbarazzo. Un ragazzo ucciso due volte: a sprangate, e dalla memoria.
Nel 2023, il suo nome è tornato sui giornali dopo una commemorazione all’Istituto Molinari con la sottosegretaria Paola Frassinetti. Le polemiche non sono mancate. Nel 2025, in occasione del 50° anniversario, è stato emesso un francobollo commemorativo. In tutta Italia, crescono le intitolazioni di giardini, vie, piazze. Ma sempre accompagnate da divisioni, proteste, accuse.
Sergio Ramelli non era un eroe. Era un ragazzo. Andava a scuola. Aveva 18 anni. Pensava, scriveva, sbagliava. È morto per un’idea. Forse è per questo che fa ancora così paura.
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