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Cronaca
10 Luglio 2025 - 09:55
Strage silenziosa su due ruote: già nove i biker morti in un mese nel Torinese. Immagine di repertorio
Il giorno prima, 7 luglio, era toccato a Marco D’Orsi, 47 anni, di Caselle: ha perso la vita sulla statale 25 a Bar Cenisio, nel territorio di Venaus. Il giorno prima ancora, il 6 luglio, era morto Stefano Portaccio, 45enne di Giaveno, dopo un incidente a Torino, in strada delle Cacce angolo via Bovetti, quartiere Mirafiori. E sabato 5 luglio è stato Gianfranco Vogliano, 57 anni, di Ivrea, a schiantarsi contro un guardrail con la sua Yamaha in via Lago Sirio.
Una catena inarrestabile. Il 24 giugno era morto Marco Torta, 24 anni, di Porino: aveva perso il controllo della sua Ducati sulla provinciale 121, finendo fuori strada. Pochi giorni prima, il 16 giugno, Guido Eliantonio, 59 anni, di Orbassano, era deceduto in uno scontro con una Fiat 500L a Beinasco, all'incrocio tra strada Orbassano e via Spinelli.
Immagine di repertorio
L’8 giugno erano morti Mattia Zuanazzi, in uno scontro frontale a Grangiotto, e Giorgia Marino, 26 anni, la “mamma biker” torinese, deceduta in ospedale dopo una settimana di agonia. Giorgia si era scontrata con un’auto che, secondo gli inquirenti, avrebbe svoltato a sinistra senza darle la precedenza in piazza Cattaneo. Ma c’è di più: una seconda auto in divieto di sosta, contro cui la moto sarebbe rimbalzata, è ora al centro di un’inchiesta con due persone indagate.
A inaugurare la lista, il 2 giugno, era stato Alessandro Fabris, 30 anni, torinese, morto a Rivoli, dopo essersi schiantato con la sua Kawasaki contro una recinzione in corso Kennedy.
Nove vite spazzate via. E, probabilmente, tutti convinti di essere al sicuro, magari anche a velocità contenute. Come sottolinea Nico Marinelli, presidente dell’associazione “Tre Merli Sotto Shock”, da anni impegnata nella promozione della sicurezza su strada: "Oggi l’asfalto ti mangia anche se rispetti i limiti. Anche ai 50 all’ora, nei centri abitati, si può morire".
Eppure, proteggersi sarebbe possibile. Marinelli ricorda l’importanza di dispositivi come il motoairbag, un gilet che in caso di impatto si gonfia proteggendo schiena, costato, polmoni e bacino. Ma i costi sono alti. "Ci vorrebbero detrazioni fiscali per incentivarne l’acquisto", spiega. Perché oggi, chi guida una moto, spesso lo fa senza tutele vere, affidandosi solo al casco e alla fortuna.
Non è una crociata contro la passione per le due ruote. Ma un grido d’allarme. Perché questa non è una serie di fatalità, ma una strage che si ripete. E ogni volta, il conto lo pagano famiglie spezzate, amici distrutti, e una comunità motociclistica che piange in silenzio, mentre aspetta una vera risposta da istituzioni ancora troppo distratte.
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