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Cronaca

Minacce a Miss Italia: "Schifosa, ti violento"

Il caso di Francesca Bergesio: una denuncia coraggiosa contro la violenza verbale online e l'urgenza di responsabilità digitale in Italia

Minacce a miss italia

Minacce a miss italia: "Schifosa, ti violento"

In un’Italia che ancora fatica a garantire sicurezza alle donne, anche quando si tratta di figure pubbliche e protette, l’episodio che ha coinvolto Francesca Bergesio, Miss Italia in carica, ha riacceso i riflettori sulla brutalità della violenza verbale online e sulla fragilità dei confini tra insulto e minaccia reale. L’incubo per la giovane reginetta è cominciato appena due mesi dopo la sua elezione, quando ha iniziato a ricevere su Facebook messaggi da brividi.

L’autore era Anouar Eddaif, 32 anni, residente in Lombardia, che, nascosto dietro un profilo falso, ha scritto alla ragazza frasi come «Schifosa, ti violento», «Attenta, so dove abiti» e infine «Ammazzo te e tuo padre». Un’escalation di violenza verbale diretta non solo a Francesca ma anche al padre, il senatore leghista Giorgio Maria Bergesio, con toni che lasciavano intendere l’intenzione di passare all’azione.

Una minaccia piena, vera, reiterata. Di fronte a parole così precise e inquietanti, Francesca non ha esitato. Ha denunciato tutto alla Polizia e ha scelto di rendere pubblica la vicenda con l’intento, come ha dichiarato lei stessa, di agire “per il bene di tutte le donne”, dimostrando che esporsi non è solo un diritto ma un dovere civico e morale. Le indagini, condotte dalla squadra mobile di Cuneo con il supporto della polizia postale, hanno portato in poco tempo all’identificazione del responsabile. Eddaif è stato denunciato per minacce aggravate, ma oggi, 3 luglio 2025, la vicenda giudiziaria si è chiusa con un patteggiamento.

La pena, pari a tre mesi di reclusione, è stata convertita in 180 ore di lavori di pubblica utilità, grazie anche al risarcimento che l’uomo ha versato alla parte offesa. Una conclusione che da un lato consente di archiviare il caso, ma che dall’altro lascia aperte molte riflessioni. Perché se è vero che la giustizia ha fatto il suo corso, resta da chiedersi quanto sia sufficiente un risarcimento e qualche ora di servizio per cancellare il trauma generato da un’escalation così minacciosa. Francesca Bergesio ha espresso sollievo e soddisfazione per l’epilogo giudiziario, ma la sua determinazione nel denunciare assume un peso ancora maggiore.

Il suo gesto rappresenta un segnale forte, che deve servire da esempio: non c’è immunità per chi aggredisce verbalmente e minaccia, nemmeno online, nemmeno dietro un falso nome. E soprattutto non c’è giustificazione per chi pensa che una donna, anche se esposta pubblicamente, debba subire in silenzio.

Il caso di Francesca è stato vissuto da molti come un campanello d’allarme, perché tocca una molteplicità di nodi: la facilità con cui si diffonde l’odio in rete, la vulnerabilità delle donne pubbliche e il ruolo ancora marginale della prevenzione nel contrasto alla violenza digitale. Dietro a un profilo social può nascondersi un delirio di onnipotenza, e le minacce, una volta scritte, non sono meno gravi solo perché virtuali. Anzi.

L’episodio richiama con forza il tema della responsabilità digitale e l’urgenza di strumenti più rapidi ed efficaci per intervenire prima che le parole si trasformino in gesti. Che si tratti di Miss Italia o di qualunque altra donna, la violenza, anche verbale, è reale, produce conseguenze, impone risposte.

In questo senso, la scelta coraggiosa di Francesca Bergesio è una vittoria, ma non basta. Serve un sistema più capace di proteggere, reagire e soprattutto prevenire. Serve riconoscere che le parole, anche quelle scritte su Facebook, possono ferire come lame, e che dietro a ogni schermo c’è un essere umano che può soffrire, temere, reagire. E denunciare.

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