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Cronaca
28 Giugno 2025 - 12:48
Un’aggressione vile, codarda, avvenuta in una manciata di secondi e nel pieno di un turno di lavoro. È quanto ha subìto una giovane vigilante di 25 anni, dipendente della società Fs Security, la sera del 1° dicembre scorso alla stazione Porta Nuova di Torino, al termine della partita tra Torino e Napoli. L’episodio — finora rimasto sotto traccia — è stato segnalato dalla Polfer all’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, ed è stato raccontato nelle scorse ore dall’edizione torinese di la Repubblica.
La giovane era in servizio presso lo scalo ferroviario, dove il flusso di tifosi partenopei stava convergendo verso i treni del rientro. Secondo la ricostruzione, è in quel momento che è stata accerchiata da un piccolo gruppo di ultrà, due o tre uomini, che si sono avvicinati con pretesti banali, per poi passare alle molestie fisiche, palpeggiandola con arroganza e impunità. Un gesto fulmineo e codificato, come se fosse parte di un copione infame.
Nonostante il turbamento e lo choc, la vigilante ha trovato la forza di denunciare immediatamente l’accaduto alle forze dell’ordine, fornendo una descrizione dettagliata degli aggressori e delle circostanze. La sua denuncia ha dato il via all’attività investigativa della Polizia Ferroviaria, che ha trasmesso l’informativa all’autorità competente, con l’obiettivo di identificare i responsabili. Non è escluso che si possa ricorrere a immagini di videosorveglianza e a testimonianze raccolte sul posto.
Quel che colpisce, oltre all’abuso, è la normalità del contesto: una stazione ferroviaria, un turno di lavoro, la divisa indossata con professionalità. Eppure, anche lì, una donna è stata trattata come corpo disponibile, oggetto da afferrare e usare, nel disprezzo totale della persona e del ruolo che stava ricoprendo.
La 25enne, secondo quanto riportato, ha scelto di non sospendere il servizio, continuando a lavorare nonostante la violenza appena subita. Una decisione difficile, che dimostra coraggio ma anche l’assurdità di una condizione in cui la vittima deve rialzarsi subito, mentre gli autori scompaiono nel mucchio.
Resta ora la domanda aperta sulle misure da adottare. Perché il calcio non può diventare un alibi per la violenza, e le trasferte non possono trasformarsi in zone franche dove i diritti delle donne si dissolvono tra cori, spinte e branchi anonimi. L’auspicio è che questa vicenda non venga archiviata come “il solito episodio tra tifosi”, ma riconosciuta come una molestia vera e propria, da perseguire con la stessa serietà con cui si puniscono le violenze dentro e fuori gli stadi.
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