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Cronaca

Cocaina a Gioia Tauro, il porto della droga sotto assedio delle mafie e dei traffici globali

Sequestrati altri 228 chili: il narcotraffico passa da qui, tra portuali infedeli, clan e container fantasma

 Cocaina a Gioia Tauro

Cocaina a Gioia Tauro, il porto della droga sotto assedio delle mafie e dei traffici globali (foto archivio)

Ancora un sequestro, ancora cocaina. E ancora una volta, tutto accade nel cuore del Mediterraneo, dove il porto di Gioia Tauro si conferma crocevia globale del narcotraffico. Il 24 giugno 2025, le Fiamme Gialle hanno bloccato un carico da 228 chili di cocaina purissima, abilmente nascosta in un container. Due portuali infedeli, arrestati mentre cercavano di recuperare la merce, sono finiti in manette. Il valore stimato dello stupefacente avrebbe superato i 35 milioni di euro, a conferma del peso economico e strategico di ogni singolo carico che transita in questo snodo.

Il sequestro è solo l’ultimo tassello di una catena inquietante: dall’inizio del 2025, sono già state intercettate almeno 2,5 tonnellate di cocaina, a cui si aggiungono le 3,8 tonnellate bloccate nel 2024. Numeri da narcotraffico industriale, che pongono lo scalo calabrese al centro di un sistema criminale ben rodato e transnazionale.

Camorra, 'ndrangheta e clan stranieri si contendono il controllo dei flussi, sfruttando complicità interne, conoscenze logistiche e punti deboli dell’apparato doganale. Il porto, teoricamente uno dei più sorvegliati d’Europa, si sta rivelando anche il più permeabile. Le forze dell’ordine, nonostante i successi investigativi, si muovono dentro un territorio dove la pressione criminale è altissima e la corruzione, come dimostrano i casi recenti, trova ancora spazio.

Negli ultimi sei mesi, i metodi per occultare la droga si sono moltiplicati: a gennaio 110 kg nascosti in bobine di carta, a febbraio 788 kg in pellet e frigoriferi, oltre a 137 kg trovati su un tir diretto al Nord Italia. Il colpo più grosso risale a marzo, quando 1.170 kg di cocaina sono stati scoperti in 11 container provenienti dal Brasile. La droga viene celata in qualsiasi oggetto trasportabile: dalla carta alle apparecchiature industriali, dai prodotti alimentari agli imballaggi di plastica.

E il porto non è l’unico punto sensibile: ad aprile, a Rizziconi, è stato scoperto un laboratorio clandestino per la raffinazione e il confezionamento della droga, con oltre 100 kg di cocaina e strumenti per produrre a ritmi continui. L’obiettivo delle organizzazioni è duplice: non solo far entrare la merce, ma anche trasformarla e smistarla direttamente in loco, con un controllo totale su ogni passaggio.

Nel 2024, due funzionari doganali sono stati arrestati: avrebbero agevolato almeno cinque spedizioni di droga, coprendo le operazioni con pratiche irregolari e omissioni strategiche. Il caso ha aperto uno squarcio sulla permeabilità dell’apparato istituzionale, messo in difficoltà da pressioni mafiose e infiltrazioni silenziose.

La dimensione del fenomeno ha assunto una portata internazionale. La collaborazione con l’intelligence statunitense ha già prodotto risultati importanti: a giugno scorso, proprio da Gioia Tauro, sono stati intercettati due droni militari di fabbricazione cinese diretti in Libia, a conferma che il porto è terreno fertile per traffici di ogni tipo, non solo droga ma anche armamenti e tecnologie sensibili.

Gioia Tauro oggi è un campo di battaglia globale, dove ogni container può nascondere milioni di euro in polvere bianca o pezzi di guerra. Le forze dell’ordine – tra Guardia di Finanza, Polizia, Dogane e carabinieri – si trovano a combattere una guerra silenziosa ma feroce, in cui la vittoria non è mai definitiva.

Il vero nemico è un sistema criminale fluido, tecnologico e trasversale, che si nutre di complicità locali e si muove con la logica delle multinazionali. Di fronte a questo, serve una risposta coordinata tra Stati, intelligence e autorità giudiziarie, e un investimento serio in trasparenza, tracciabilità e sicurezza portuale.

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