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Cronaca

Studente massacrato di botte. "Maranza" in azione a Lanzo

Studente finisce all’ospedale con un trauma cranico. I carabinieri smascherano il tentativo di coprire l’aggressione

Studente massacrato di botte. "Maranza" in azione a Lanzo

Maranza in azione

Lo hanno aggredito in dieci. Forse di più. In gruppo, come succede ormai troppo spesso. Senza uno straccio di motivo che possa giustificare una tale violenza, se non quello che sembra: una punizione, un avvertimento.

È accaduto nel centro storico, a due passi dalle vetrine, dai portici, dalle panchine dove i pensionati giocano a carte o guardano la gente passare. Non un vicolo buio, non un luogo nascosto. Il cuore della città. Dove tutti vedono tutto. Ma dove, da un po’ di tempo, nessuno parla.

A farne le spese è stato uno studente di 21 anni, colpito con ferocia. Trauma cranico, qualche giorno di prognosi. Un pestaggio in piena regola. Talmente brutale che, una volta finito in ospedale, il ragazzo ha scelto di raccontare una bugia: «Sono caduto dal monopattino», ha detto a medici e infermieri. Una menzogna nata dalla paura. Paura di esporsi, di essere visto, di finire nuovamente nel mirino. Perché a Lanzo, ormai, la legge del silenzio vale più di ogni altra cosa.

Eppure la verità è emersa. I carabinieri della stazione locale, coordinati dal maresciallo Paolo Spataro, hanno seguito una traccia sottile. Hanno analizzato le immagini di videosorveglianza sparse per le vie della cittadina, incrociato le testimonianze raccolte da alcuni giovani che – stavolta – hanno deciso di parlare. Alla fine, sono arrivati a identificare quattro responsabili: due fratelli di Nole, entrambi pregiudicati; un 22enne di Leinì, anche lui con precedenti; e un 25enne di Lanzo, finora incensurato.

Quattro nomi, ma probabilmente non sono gli unici. Perché l’aggressione ha tutti i tratti di un’azione organizzata. Una spedizione punitiva. E forse non è un caso isolato.

pestaggio

Secondo quanto emerso dalle indagini, dietro l’episodio potrebbe esserci un vecchio debito di droga. Una questione “da sistemare”. Una delle tante che, ormai da mesi, ruotano attorno a certi movimenti poco limpidi che interessano Lanzo e l’intero Ciriacese. Piccoli trafficanti, volti giovani e già noti alle forze dell’ordine, che si spostano da un comune all’altro, usano i social per vendere, si danno appuntamento davanti alle scuole, ai bar, ai giardini pubblici.

A Lanzo, spiegano i militari, si stanno concentrando flussi anomali. Gente che arriva da fuori. Qualcuno vende, qualcuno compra. Qualcuno, se sgarra, paga. Non è la trama di una serie TV: è ciò che accade nei dintorni di piazza Gallenga, in orari che non sono mai troppo tardi, perché non c’è bisogno del buio per fare certi affari.

E mentre gli investigatori scavano nella rete dello spaccio, un’altra faccia della stessa medaglia continua a emergere. In città, da alcune settimane, si muove anche un gruppo di ragazzini. Sfacciati, attivi, disinvolti. Qualche giorno fa hanno scardinato la serranda del deposito ferroviario, rubato alcune traversine e costruito un tavolo sotto la tettoia della stazione. Per le panchine hanno fatto prima: le hanno portate via direttamente dal parco pubblico. Un gesto che può sembrare goliardico, finché non lo si incrocia con il resto. Finché non si comincia a vedere il disegno più ampio.

Lanzo, insomma, non è più quella di qualche anno fa. Sotto la superficie ordinata della cittadina delle Valli si muovono tensioni, dinamiche, insicurezze. Il controllo del territorio sfugge. I residenti lo dicono sottovoce. Qualcuno inizia a lamentarsi apertamente. Ma la verità è che la paura serpeggia. Si sente. Si respira. Si traduce in bugie raccontate al pronto soccorso, in sguardi bassi, in testimoni che dicono «io non c’ero» anche quando c’erano.

I carabinieri proseguono le indagini. La procura di Ivrea coordina il fascicolo. Ci sono nomi da verificare, movimenti da tracciare, telefoni da esaminare. Il branco ha agito una volta. Ma potrebbe rifarlo. Perché, se nessuno li ferma, si sentono forti. Invincibili. Impuniti.

E il ragazzo che hanno pestato? È a casa. Sta meglio. Ma non ha ancora raccontato tutto. Lo farà? Forse. Se sentirà che la città è con lui. Che lo Stato c’è. Che la prossima volta, in strada, saranno in dieci dalla parte giusta.

Non chiamateli “maranza”: sono padroni del vuoto che abbiamo lasciato

C’erano una volta i bulli di quartiere, quelli che facevano i duri al campetto e venivano riportati in riga da un padre severo o da un professore che non aveva paura di alzare la voce. Poi sono arrivati loro, i “maranza”, quelli che non temono nessuno. Nessuno perché non c’è più niente da temere.

Hanno 13, 15, 17 anni. Si vestono tutti uguali, parlano lo slang delle periferie milanesi, ascoltano la trap e mostrano in faccia la noia come fosse un distintivo. Ma ridurli a una caricatura è l’errore più grande che possiamo fare. Perché i “maranza” non sono un fenomeno di costume. Sono un vuoto. E dove c’è vuoto, qualcuno prima o poi arriva a occuparlo.

Quel vuoto lo hanno lasciato le famiglie smarrite, che non parlano più con i figli. Lo hanno lasciato le scuole, che non hanno strumenti – né coraggio – per arginare l’arroganza e la microviolenza quotidiana. Lo ha lasciato una politica distratta, che si accorge del disagio solo quando finisce in un verbale dei carabinieri.

Il branco che ha pestato un ragazzo in centro a Lanzo non è un’eccezione. È la regola che si sta scrivendo sotto i nostri occhi. Questi ragazzi non rispettano nulla perché nessuno ha insegnato loro cosa significhi rispetto. Non ascoltano nessuno perché nessuno li ha mai davvero ascoltati. Crescono guardando TikTok, idolatrando chi mostra soldi, muscoli e silenzi minacciosi. E poi replicano. Si imitano. E colpiscono.

Il problema non è la trap. Il problema è l’assenza di adulti. Di riferimenti. Di freni. Non bastano le telecamere, non bastano le denunce, non basta dire “ma sono ragazzi”. No, non sono “solo ragazzi”. Sono ragazzi che picchiano in gruppo, che spaccano, che sfidano, che non riconoscono autorità. E sono ovunque. Da Lanzo a Settimo, da Torino a Ivrea.

La parola “maranza” li rende quasi folkloristici, come se fossero una moda passeggera. Ma non passeranno. Perché sono il prodotto stabile di una società instabile, che parla tanto di educazione e inclusione ma ha dimenticato la fatica, il limite, la responsabilità.

Non serve solo repressione. Serve dire le cose come stanno. Questi ragazzi fanno paura. E fanno paura perché ci somigliano troppo. Perché sono cresciuti in un tempo dove l’unico comandamento è apparire. Dove l’unica forma di potere è l’imposizione. Dove chi urla di più ha ragione. E chi picchia, vince.

O cambiamo registro. O accettiamo che nelle nostre città comandino loro.

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