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Cronaca
18 Giugno 2025 - 16:34
Un'operazione apparentemente ordinaria si è trasformata in un caso giudiziario. È quanto accaduto a Borgaro Torinese, dove il titolare dell’officina Omea, Domenico Pietro Pastore, classe 1966, è stato condannato a 30 giorni di arresto per l’infortunio che nel marzo 2018 colpì un operaio durante un intervento su un camion della Seta Spa, la società che gestisce la raccolta rifiuti sul territorio.
Il giudice Stefania Cugge, accogliendo parzialmente la ricostruzione dell’accusa, ha riconosciuto le attenuanti generiche ma ha ritenuto comunque Pastore responsabile, infliggendo la condanna con sospensione condizionale della pena e obbligo di pagamento delle spese processuali. L’inchiesta era stata coordinata dal Pubblico Ministero Alessandro Gallo.
Al centro della vicenda, un intervento diagnostico su un camion stradale marca Iveco Strali, affidato alla Omea dalla Seta Spa per risolvere una perdita d’olio nella cabina ribaltabile. Secondo quanto accertato, l’incidente avvenne durante una fase in cui la cabina era stata sollevata per verificare il guasto. L’officina, però, non aveva previsto questa procedura nel Documento di Valutazione dei Rischi, né tantomeno nella formazione ai lavoratori. Il risultato: un’operazione improvvisata con mezzi di sicurezza non certificati e nessuna indicazione formale su come procedere.
L’accusa era fondata sugli articoli 590 comma 2 e 3 del Codice Penale (lesioni colpose gravi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) e 583 comma 1 n.1 (lesioni personali gravi). L’avvocata Francesca Peyron, difensore di Pastore, ha contestato la ricostruzione sostenendo che non si trattava di un intervento vero e proprio, ma di una fase preliminare di diagnosi: «Prima di cambiare il pistone si stava verificando da dove provenisse la perdita d’olio. La cabina è stata ribaltata solo per questa ragione».
Secondo l’accusa, invece, l’intervento venne condotto senza alcuna precauzione documentata. Il verbale dello Spresal TO4, redatto dall’ispettore Gaetano Avella, certificava l’assenza di cartelli, recinzioni e procedure nell’area in cui si stava lavorando, praticamente a ridosso della pubblica via.
In aula, la difesa ha cercato di dimostrare che il comportamento del lavoratore ferito – Rosario Di Cava, poi risarcito – fosse stato autonomo, senza indicazioni dirette da parte del titolare. L’avvocato Longo, in particolare, ha sostenuto che «il lavoratore si era mosso senza essere visto dai colleghi».
La consulenza dell’ingegnere Nicosa, esperto di sicurezza sul lavoro, ha rafforzato la tesi della diagnosi: «Non si sostituisce un cilindro senza prima verificarne la rottura. La visione completa si ottiene solo ribaltando la cabina». Tuttavia, ciò che ha pesato nella decisione finale è stata l’assenza di qualsiasi formalizzazione scritta, sia nelle procedure operative, sia nella formazione dei dipendenti.
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