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Cronaca
14 Giugno 2025 - 01:29
Fabio Caforio, studente modello annegato a Pont: un paese intero in lacrime
Non avrebbe dovuto finire così. Non a diciassette anni. Non in un giorno qualunque, in un venerdì di giugno, quando la scuola è finita da poco e si assapora la libertà dell’estate, quando le ore sembrano dilatarsi e tutto appare possibile, vivo, immenso. Non avrebbe dovuto finire così per Fabio Caforio, ragazzo con il sorriso leggero, lo sguardo educato e l’animo semplice, che ha trovato la morte dove cercava solo un momento di freschezza e spensieratezza: tra le acque gelide della "goia del Gur", sul torrente Orco, all’ingresso di Pont Canavese.
Aveva diciassette anni, ne avrebbe compiuti diciotto tra meno di due mesi, il 5 agosto. Aveva appena terminato il terzo anno al Ciac e si preparava a un'estate diversa, forse l'ultima prima di diventare davvero grande. Aveva alle spalle uno stage di successo, al punto che l'azienda gli aveva proposto un contratto. Era stato tra gli interpreti dello spettacolo "Giro intorno al mondo", un progetto teatrale itinerante dove i ragazzi raccontavano culture e speranze. Era un primo della classe, come si dice quando si vuole descrivere uno studente che non sbaglia mai, ma che non per questo si chiude in se stesso. Fabio era anche l’amico che tutti vorrebbero accanto: gentile, rispettoso, legato alla famiglia. E la sua famiglia, composta da mamma, papà, un fratello e una sorella, vive a due passi da quel luogo che ha inghiottito la sua vita. Troppo vicino per essere solo un caso.
La giornata era cominciata con l’allegria tipica dei pomeriggi d’estate. Due gruppi di ragazzi tra i 13 e i 18 anni si erano dati appuntamento come da tradizione in quel punto dell’Orco dove l’acqua forma una pozza limpida e profonda. Una sorta di rito collettivo che si ripete ogni anno, quando il caldo si fa insopportabile e il bisogno di evasione si intreccia con il desiderio di stare insieme. Avevano zaini, costumi, musica e sorrisi. Nessuno poteva prevedere che uno di quei sorrisi sarebbe stato l’ultimo.
La gola di Pont Canavese
Fabio aveva deciso di attraversare la "goia" a nuoto con un amico. Insieme avevano raggiunto il punto più profondo, oltre quattro metri d'acqua, dove spesso il fondale inganna e la corrente si fa improvvisa. Poi, qualcosa si è spezzato. La fatica, un crampo, forse il freddo pungente che colpisce come uno schiaffo. Fabio ha chiesto aiuto. Il compagno ha tentato di afferrarlo per il polso, ma la pelle bagnata è sfuggita come sabbia tra le dita. In pochi istanti, altri ragazzi si sono lanciati in acqua per riportarlo in superficie. L’hanno fatto con il coraggio e la disperazione di chi non accetta l’idea di perdere un amico. Sono riusciti a trascinarlo a riva. Ma il suo cuore aveva già deciso di fermarsi.
I soccorsi sono arrivati in volo: l’eliambulanza del 118, l’elicottero Drago dei Vigili del Fuoco. Tutti inutili. Fabio non poteva più essere salvato. È rimasto lì, sul greto del torrente, vegliato dal silenzio irreale dei suoi amici, dai Carabinieri e dai pompieri. Poi sono arrivati i genitori, stretti dal dolore. Il corpo è stato trasferito a Cuorgnè, mentre la Procura di Ivrea ha disposto ulteriori accertamenti per chiarire ogni dettaglio della tragedia. Ma la verità, forse, l’ha già scritta il fiume.
Quel tratto dell’Orco non è nuovo al dolore. La "goia del Gur" era già stata teatro, nel luglio del 2010, di una tragedia identica. Stessa acqua, stessa pozza, stesso dramma. Allora toccò a Marco Russo, 29 anni, operaio di Chivasso, annegato davanti agli occhi della moglie e della figlia di cinque anni. Anche lui, come Fabio, era entrato per un bagno. Anche lui è stato inghiottito da quel punto profondo che si nasconde tra lastroni e correnti improvvise. Anche lui non è più riemerso. Quindici anni dopo, la morte è tornata a esigere il suo tributo nello stesso luogo.
E mentre la notizia si diffondeva come un’eco straziante per le vie di Pont, il paese intero si è fermato. I primi ad arrivare sono stati gli amici, i vicini, i conoscenti. Hanno lasciato parole, fiori, lacrime. Il sindaco Paolo Coppo ha proclamato il lutto cittadino per il giorno del funerale, perché la morte di un ragazzo come Fabio non è solo un lutto privato, è una ferita collettiva. Aveva il volto pulito e l’animo buono, Fabio. E tutti lo sapevano. Tutti lo riconoscevano. Era uno di quei giovani su cui si investe con fiducia, uno di quelli che costruiscono, che non distruggono. Era serio, attento, sempre sorridente. Senza grilli per la testa, ma pieno di sogni.
La sua famiglia era molto conosciuta in paese. La sorella Aurora lavora allo staff del bar del campo sportivo Costa Laia, dove gioca il Vallorco. Ed è lì che Fabio avrebbe dovuto iniziare, da lunedì, l’attività di animatore per "Estate ragazzi". I bambini lo aspettavano. I colleghi lo aspettavano. Invece ora c’è solo il vuoto. Un silenzio fatto di sguardi persi e parole che non bastano. L’assurdità di una morte che colpisce mentre la vita stava fiorendo.
I suoi compagni di scuola parlano di lui come di un esempio. Era quello che aiutava gli altri, che non si metteva mai in mostra ma faceva la differenza. I professori ricordano il suo impegno, la sua intelligenza, la sua umiltà. Chi lo conosceva dice che Fabio aveva la dote della semplicità, quella rara capacità di rendere migliore chi gli stava accanto senza bisogno di gesti eclatanti. Bastava la sua presenza.
La “Goia dal GÜr”, ovvero la riviera di Pont, tradizionale mèta estiva soprattutto per i giovani ed i bambini, è un luogo di svago, di relax: un surrogato del mare, gratuito e vicino a casa. È però allo stesso tempo un luogo legato a ricordi sinistri: il ragazzo che ha trovato la morte nelle sue acque non è purtroppo il primo. A distanza di anni da una disgrazia a quella successiva, le cronache ripropongono fatti simili a questo.
Le acque dei torrenti sono fredde ed è più facile, rispetto a quelle marine, che provochino gravi problemi dovuti anche al contrasto, nelle giornate molto calde, fra la temperatura dell’acqua ed il calore accumulato dal corpo prima di immergersi, magari a digestione ancora in corso. È più facile nei fiumi incontrare ostacoli o depressioni improvvise, ma soprattutto – elemento spesso trascurato con tragiche conseguenze – ci si può imbattere in un mulinello. Questi vortici tanto insidiosi, nella zona della <riviera> pontese, purtroppo ci sono.
Quando si dice <andare alla Goia> s’intende comunemente la riva sinistra del torrente, dove la spiaggia sabbiosa che si apre al termine di una zona di prati e boscaglia appariva – anche in epoche di maggior diffidenza nei confronti dell’acqua – come particolarmente adatta alla <vita di spiaggia>: gli adulti prendevano il sole, i bambini giocavano sulla riva, gli ardimentosi facevano il bagno o nuotavano, i più timorosi si limitavano a bagnarsi i piedi.
Al di fuori dell’area più frequentata, tuttavia, i rischi c’erano, ed erano accentuati se ci si recava sulla sponda opposta, quella ai piedi della montagna: più lontana dal centro del paese, meno agevole da raggiungere, con spazi più ristretti ma soprattutto caratterizzata dai mulinelli. Li si conosceva grazie all’esperienza pratica ed alle informazioni trasmesse di generazione in generazione, che supplivano alla carenza di nozioni scientifiche dettagliate.
Malgrado le ben diverse possibilità di conoscenza che esistono oggi, le tante insidie di fiumi, torrenti e laghi sono spesso poco note o sottovalutate.
Nel caso di Pont le informazioni sono al momento troppo generiche per capire se si sia trattato di fatalità o di cause differenti. Quel che è certo è l’aumento registrato negli ultimi anni, un po’ in tutt’Italia, di casi tragici come questo: quasi sempre riguardano persone molto giovani e ci si chiede se non sarebbe il caso di tenere brevi corsi – soprattutto nelle scuole – per spiegare le differenze tra l’immersione in mare e quella nelle acque interne, sui pericoli evidenti e su quelli nascosti, sui modi di fronteggiare le situazioni critiche quando ci si trova nei guai.
(ha collaborato Caterina Ceresa)
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