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Cronaca
09 Giugno 2025 - 09:57
Piemonte, dietro le aziende che chiudono c’è la mano delle mafie
Ogni quindici giorni in Piemonte un’impresa viene bloccata per sospetti di infiltrazioni mafiose. È quanto emerge dalla relazione annuale della Direzione Investigativa Antimafia, che mostra come la criminalità organizzata abbia piantato le sue radici nei settori più redditizi dell’economia del Nord-Ovest. Un’infiltrazione costante, silenziosa, strategica. Non serve più sparare: oggi la mafia investe, compra, dirige. Lo fa con discrezione, dentro bilanci, appalti e catene di subforniture.
Il dato è chiaro: l’82% dei provvedimenti ha legami con la ‘ndrangheta, il 10% con Cosa Nostra, il resto con le mafie pugliesi, tra cui la Quarta mafia. I settori sotto attacco sono quelli del turismo, ristorazione, trasporti, costruzioni, impianti energetici, autolavaggi e commercio. In particolare, il settore immobiliare del Torinese è diventato un nuovo campo di manovra per le famiglie criminali originarie di Platì, che da anni hanno spostato le loro operazioni a Volpiano.
Un caso emblematico è quello dell’impero intestato ai Vazzana, smantellato dalla DIA: bar, ristoranti, hotel, auto di lusso e conti correnti occultati dietro prestanome. Un sistema perfettamente oliato, dove il denaro sporco si confonde con quello legale, dove tutto appare lecito fino a che non arriva il sequestro.
Sebbene il numero delle interdittive antimafia e dei provvedimenti di diniego alle white list non sia aumentato in maniera evidente, gli investigatori sottolineano che a cambiare è stata la complessità delle istruttorie. Il capocentro della DIA di Torino, Tommaso Pastore, ha spiegato che i procedimenti sono oggi molto più articolati perché le aziende legate ai clan utilizzano metodi sempre più sofisticati per nascondere i legami. Di conseguenza, risulta più difficile sostenere provvedimenti solidi dal punto di vista giuridico, soprattutto nei ricorsi amministrativi, che sono sempre più aggressivi e tecnici.
Antimafia
Un esempio lampante è il caso della Co.Ge.Fa., colosso delle costruzioni colpito da interdittiva antimafia lo scorso ottobre. Da lì si è aperta una lunga trafila giudiziaria tra sospensive, ricorsi, revoche e conferme da parte di TAR e Consiglio di Stato. Provvedimenti che si contraddicono tra loro, ma che mostrano una cosa con chiarezza: la necessità di motivazioni dettagliate e documentate, se si vuole evitare che tutto venga annullato in aula.
Accanto all’aspetto giuridico, c’è poi l’azione sul campo. Nel 2024 sono raddoppiati i controlli nei cantieri rispetto all’anno precedente: da 27 a 53 accessi solo nel Nord Italia. A Torino e provincia, sono otto le opere pubbliche ispezionate, tra cui anche i cantieri della metropolitana. Sono stati verificati 377 mezzi, 150 imprese e 350 persone fisiche. Un lavoro di prevenzione fondamentale, perché – come sottolineano gli investigatori – le mafie non si inseriscono nella fase finale di aggiudicazione degli appalti, ma agiscono nei subappalti, nella logistica, nei fornitori, in quei passaggi che sembrano secondari e invece sono determinanti.
Anche una betoniera presente in un cantiere può attivare un’indagine, perché da lì si può risalire a fornitori sospetti, prestanome, legami con ambienti criminali. È questa la vera antimafia amministrativa, quella che interviene prima che il danno sia fatto. E in uno scenario sempre più opaco, anche le criptovalute diventano il nuovo terreno di gioco delle cosche, un sistema perfetto per muovere denaro senza lasciare tracce.
Il rischio più grande, oggi, non è l’intimidazione violenta, ma la normalizzazione del crimine nell’economia legale. Quando tutto sembra in ordine e nessuno solleva il dubbio, la mafia ha già vinto. E l’indifferenza diventa il suo miglior alleato.
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