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Cronaca
04 Giugno 2025 - 15:09
Roberto Rosso
Non ci fu “metodo mafioso” nel sostegno elettorale a Roberto Rosso, né la villa del calciatore Arturo Vidal fu acquistata grazie all’intervento della ’ndrangheta. E se la presenza della consorteria calabrese a Carmagnola è confermata, non lo è l’alleanza con Cosa Nostra. La Corte di Cassazione, nelle motivazioni appena depositate relative al maxi-processo Carminius, rilegge e in parte ribalta la narrazione giudiziaria che, negli ultimi anni, ha raccontato la penetrazione delle mafie nel Piemonte meridionale.
Particolarmente significativo è l’annullamento con rinvio della condanna a 4 anni e 4 mesi per l’ex assessore regionale Roberto Rosso, accusato di voto di scambio politico-mafioso in relazione alle elezioni regionali del maggio 2019. Secondo la Suprema Corte, manca la prova che i due uomini coinvolti – indicati come boss della ’ndrangheta – abbiano agito utilizzando il “metodo mafioso” per procacciare voti. “Agirono non in quanto emissari o rappresentanti delle cosche di riferimento, ma quali soggetti attestati in tali ambienti, e perciò accompagnati da fama criminale”, scrivono i giudici, aggiungendo che “non c’è nessuna prova che abbiano usato intimidazioni o modalità coercitive per orientare le preferenze elettorali”. Peraltro, sottolineano, l’interessamento dei due portò a Rosso un numero modesto di voti.
La Corte d’Appello di Torino aveva ritenuto invece irrilevante la mancanza di “metodo mafioso”, sostenendo che fosse sufficiente la sicura appartenenza dei due alla ’ndrangheta per configurare il reato. Ma per la Cassazione si tratta di un errore metodologico: la sentenza di secondo grado si basa sui criteri della nuova formulazione del reato di voto di scambio politico-mafioso, entrata in vigore l’11 giugno 2019, mentre i fatti risalgono a qualche settimana prima. Una questione di diritto non marginale: la nuova versione del reato è più ampia e meno vincolata all’uso concreto del metodo mafioso, a differenza della precedente, che invece imponeva una prova più stringente. Di qui l’annullamento e il rinvio a un nuovo processo d’appello che dovrà attenersi alla legge vigente al momento dei fatti.
Un altro nodo centrale riguarda la villa di Moncalieri un tempo di proprietà del calciatore Arturo Vidal, oggetto di un’altra accusa contenuta nel processo Carminius. Secondo l’accusa, la villa fu acquistata nel 2018-2019 da Mario Burlò, imprenditore torinese, grazie a pressioni esercitate da ambienti mafiosi. Ma anche in questo caso, la Cassazione ha annullato senza rinvio la condanna a carico di Burlò, ritenendo che “nella sentenza della Corte d’Appello manca ogni riferimento a interventi di sapore intimidatorio o, quantomeno, di ammorbidimento nei confronti del venditore Vidal o del suo rappresentante”. La villa, inizialmente in vendita a 500 mila euro, fu poi ceduta a 325 mila, con una distribuzione di provvigioni a numerosi intermediari, tra cui – secondo gli inquirenti – almeno due legati alla ’ndrangheta.
Ma per gli ermellini il semplice coinvolgimento di soggetti con legami mafiosi non è sufficiente a configurare un comportamento collusivo. “L’imprenditore per essere colluso deve mettere la propria azienda a disposizione delle cosche oppure instaurare con esse un rapporto di reciproci vantaggi”, precisano i giudici. Nulla di tutto ciò, a loro giudizio, è riscontrabile nel comportamento di Burlò, che si limitò a partecipare a un affare “occasionale”, segnalatogli da terzi. Ne consegue anche la revoca della confisca dell’immobile.
La Cassazione, infine, conferma la presenza stabile della ’ndrangheta a Carmagnola, territorio-chiave nel torinese per le infiltrazioni delle mafie. “Quanto meno dal 1991”, affermano i giudici, è documentata l’operatività del gruppo Arone, “articolazione della ’ndrangheta delocalizzata, derivata dal clan Bonavota, egemone a Sant’Onofrio, in provincia di Vibo Valentia”. Un dato ormai accertato, che fa della cittadina di 28 mila abitanti un osservatorio privilegiato per studiare la capacità delle mafie calabresi di mimetizzarsi nei contesti settentrionali.
Tuttavia, la presunta alleanza tra la ’ndrangheta e Cosa Nostra a Carmagnola non ha trovato conferme. L’imputato Antonino Buono, indicato come referente della mafia palermitana e ritenuto in posizione “paritaria” rispetto agli uomini della ’ndrangheta per la gestione dei videopoker in città, è stato assolto in primo grado ad Asti, con una sentenza ritenuta corretta anche dalla Cassazione. “Mancano elementi che provino un rapporto stabile e organico tra Buono e la consorteria mafiosa calabrese”, affermano i giudici, mettendo definitivamente da parte l’ipotesi di una sinergia operativa tra i due principali cartelli mafiosi nel territorio piemontese.
Un processo che fa scuola, quello del Carminius, che ha provato a misurare la capacità delle mafie di fare affari al Nord, di influenzare il voto, di infiltrarsi nel tessuto economico. Ma che mostra anche le difficoltà – giuridiche e probatorie – di sostenere accuse di mafia senza prove robuste del metodo intimidatorio o di un’intesa stabile con il potere criminale.
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