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Cronaca

Tenta di strangolarla, poi la perseguita per chiederle scusa: a processo un 25enne

L’aggressione in un villaggio turistico in Sardegna, i lividi sul collo, le fughe e infine lo stalking con mazzi di fiori e messaggi notturni. Lei: “Avevo paura anche solo a vederlo”

Tenta di strangolarla, poi la perseguita per chiederle scusa

Tenta di strangolarla, poi la perseguita per chiederle scusa: a processo un 25enne (foto di repertorio)

Prima le mani al collo, poi i fiori sotto casa. E infine, una pioggia di messaggi social inviati a chiunque potesse riportare la sua voce. È una spirale contorta e angosciante quella finita oggi davanti al tribunale di Torino, dove un giovane italiano è imputato per stalking e per una tentata aggressione nei confronti della ex fidanzata, una ragazza di 23 anni residente nella collina torinese. Una storia che inizia nell’estate del 2022, in Sardegna, e che si trascina tra paure, silenzi e screenshot consegnati ai carabinieri.

L’aggressione avvenne in una stanza di un villaggio turistico, dove i due lavoravano insieme. Lui era ubriaco, ha raccontato la ragazza. “Mi afferrò al collo all’improvviso. Decisi di lasciarlo subito dopo e partii per qualche giorno con mio padre. Non uscivo dall’alloggio, avevo male dappertutto. Per le ecchimosi non riuscivo neanche a deglutire”.

Pensava fosse finita. E invece iniziò un’altra fase: quella del controllo ossessivo. Lo vide girare spesso sotto casa, sempre più presente, sempre più inquietante. Il 20 settembre, si presentò con un mazzo di fiori. Ma la famiglia, preoccupata, chiamò i carabinieri. “Era tranquillo – ha detto un militare in aula – e parlava di ‘chiarire una situazione’. Ma lei era sconvolta. Non voleva neppure vederlo. Per andarsene, chiamò un taxi”.

Poi cominciò a scrivere agli amici. Li cercava su Instagram, mandava messaggi privati nel cuore della notte. A un ex compagno di scuola scrisse che quella sera era ubriaco e in crisi per la morte del padre. A un’amica confidò “di voler spiegare tutto”, ma i messaggi arrivavano alle tre del mattino, con toni ambigui e tentativi di giustificazione. “Mi scusò pure con me – ha raccontato la testimone – ma trovai tutto molto strano. Lei mi aveva già detto cosa era successo. Così feci gli screenshot e li portai ai carabinieri il 12 ottobre”.

Oggi la ragazza è parte civile con l’avvocata Francesca Violante. In aula ha parlato con voce ferma, ma ha ripercorso ogni passaggio con lucidità dolorosa. Il processo è solo all’inizio, ma la linea è chiara: le scuse non cancellano la violenza, e il pentimento non può trasformarsi in nuova persecuzione.

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