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Cronaca
23 Maggio 2025 - 12:10
Professore morde studente: per il giudice “il fatto sussiste, ma non è reato”
È successo tutto in pochi istanti. Una richiesta, un rifiuto, una lite, un morso. E poi un video, un’aula di tribunale, e una sentenza che lascia aperti più interrogativi che certezze. Siamo a Racconigi, in provincia di Cuneo, all’Istituto Superiore “Arimondi-Eula”. L’aula è quella di meccanica, l’anno scolastico in corso, l’insegnante un docente precario al suo anno di prova. Oggi quell’uomo è stato assolto: il morso a uno studente è stato giudicato un atto di legittima difesa.
La vicenda inizia con una dinamica semplice quanto quotidiana: uno studente chiede di andare in bagno. Il professore rifiuta. Il ragazzo insiste, il tono si alza, gli animi si infiammano. Scoppia una discussione che degenera fino al gesto estremo: il docente, visibilmente agitato, afferra il ragazzo e lo morde. Il segno resta. Il compagno di banco filma tutto con il cellulare. Le immagini fanno il giro della classe, poi finiscono nel fascicolo dell’inchiesta.
“Non era la prima volta”, dice lo studente in tribunale, mostrando il livido lasciato dai denti dell’insegnante. Il clima in aula – raccontano gli altri studenti – era da tempo teso. Un professore “severo”, che cercava di mantenere l’ordine con rigore. Forse troppo. Ma non bastava a spiegare un gesto che ha dell’inspiegabile: un morso, dentro una classe, da parte di un adulto.
Eppure, il tribunale di Cuneo ha deciso di assolvere il docente, accogliendo la tesi della difesa. Secondo l’avvocato, si è trattato di una reazione “quasi inconscia, legata al tentativo di divincolarsi in un momento di tensione fisica e psicologica estrema”. La procura ha chiesto l’assoluzione, complice il fatto che la famiglia dello studente non ha mai sporto denuncia, rendendo non procedibile l’accusa di lesioni. La formula scelta è chiara: “il fatto sussiste, ma non costituisce reato”.
Giustizia fatta? Forse. Ma il danno è profondo. L’Ufficio scolastico regionale ha deciso di destituire l’insegnante, già bocciato durante il periodo di prova dal comitato valutatore dell’istituto. Il professore è stato spostato con un incarico temporaneo in un’altra scuola della provincia. Un trasferimento che sa di retrocessione, con una carriera che ora pende nel vuoto. La sentenza non cancella le ripercussioni. E il “prof di Racconigi”, come è ormai noto tra i colleghi, resta un caso scomodo.
Ma che cosa ci racconta davvero questa vicenda? Che la scuola italiana è diventata un terreno minato, dove le tensioni si esasperano e il conflitto adulto-adolescente si trasforma in trincea. Dove il rispetto reciproco si perde tra sovraccarichi emotivi, rigidità istituzionali, fragilità personali. E dove il confine tra autorità educativa e sopraffazione, tra autodifesa e abuso, è sempre più sottile.
Il gesto del docente resta grave, pur se non penalmente rilevante. Ma anche la gestione dell’episodio solleva domande. Cosa succede in una scuola quando un ragazzo provoca sistematicamente un insegnante? Cosa può fare un docente precario, isolato, in difficoltà, davanti a una classe che non riconosce il suo ruolo? E quali strumenti ha davvero, oggi, il sistema scolastico per prevenire l’escalation dei conflitti?
Serve più formazione, ma serve anche più ascolto. Non si può chiedere alla scuola di essere insieme centro educativo, presidio psicologico e contenitore sociale, senza darle risorse, strumenti e spalle larghe. Il rischio è che ogni aula diventi un campo di battaglia, dove tutti – studenti e insegnanti – si sentono soli, stressati, vulnerabili.
Il caso di Racconigi deve servire da spartiacque. Non per giustificare, ma per comprendere. Non per normalizzare, ma per affrontare. Perché dietro ogni gesto estremo c’è una catena di segnali non ascoltati. E la scuola, se vuole tornare a essere comunità, deve imparare a vederli prima che sia troppo tardi.
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