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Cronaca
21 Maggio 2025 - 12:40
Fagioli ai pm: “Avevo un buco da mezzo milione. Vlahovic mi aiutò con 100mila euro”
Un debito da mezzo milione di euro, richieste d’aiuto a compagni di squadra, prestiti mai rifiutati, e un abisso di scommesse online clandestine che ha travolto uno dei talenti più attesi della sua generazione. Nicolò Fagioli, oggi centrocampista della Fiorentina, ha raccontato tutto, o quasi, in un nuovo verbale reso il 24 aprile ai pm di Milano, titolari dell’inchiesta che ha svelato il volto oscuro di un calcio apparentemente dorato. E in quelle righe c’è anche un nome che fa rumore: Dusan Vlahovic, attaccante della Juventus, non indagato, ma citato per un gesto di amicizia (o salvataggio).
“Ricordo che anche Vlahovic, che era un mio caro amico quando giocavo nella Juventus, aveva provveduto a versare un importo di 100mila euro per coprire i miei debiti senza acquistare alcun bene”.
Una dichiarazione che conferma quanto già emerso nei documenti precedenti, ovvero un bonifico da 100mila euro partito dall’attaccante serbo verso la gioielleria Elysium, utilizzata – secondo l'accusa – come schermo per coprire i flussi di denaro delle puntate illegali. Ma Fagioli, davanti ai magistrati, spiega che non si trattava di una simulazione d’acquisto. “Era un prestito, nulla di più. Vlahovic mi aiutò”. Come fece, secondo il centrocampista, anche Federico Gatti, Radu Dragusin e altri compagni, ai quali chiedeva di effettuare bonifici alla Elysium promettendo un piccolo guadagno. Una sorta di cashback garantito da lui, con la promessa di rimborsare tutti entro qualche mese.
“Dicevo loro che ci avrebbero guadagnato una parte, che poi mettevo io. E restituivo i soldi prestati”.
Il nodo centrale è il debito. Fagioli ammette che al momento del primo interrogatorio a Torino doveva ancora tra i 400 e i 500mila euro, ma dopo l’esplosione dello scandalo nessuno lo ha più cercato per esigere il pagamento. Un segnale, forse, della pressione illegale che si era spezzata con l’arrivo dei riflettori giudiziari.
In una delle parti più delicate del verbale, il giocatore ha voluto difendersi da una delle contestazioni più pesanti, quella di essere stato una sorta di “procacciatore di giocatori” per conto degli organizzatori del sito clandestino. “Non ero io ad adescare i calciatori – ha detto – erano loro a chiedermi di giocare. Io passavo il contatto di Tommaso De Giacomo”. È lo stesso nome già emerso come gestore del sito illegale, finito ai domiciliari con l’accusa di esercizio abusivo e riciclaggio.
Fagioli ricorda un solo caso in cui abbia tratto vantaggio dal reclutamento: il passaggio del contatto a Raoul Bellanova, oggi al Torino. In cambio, dice, ricevette 5mila euro di credito aggiuntivo sulla piattaforma. “È l’unico episodio in cui ho avuto un bonus. Non ho mai guadagnato soldi”.
Oggi Nicolò Fagioli è tornato a giocare, ha scontato la squalifica sportiva, sta seguendo un percorso terapeutico per la ludopatia, e sul fronte penale potrebbe uscire dall’inchiesta milanese con un’oblazione, cioè un pagamento per estinguere il reato, come previsto in casi del genere. Ma il suo racconto continua ad aggiungere tasselli a un mosaico inquietante, in cui la dipendenza dal gioco si è intrecciata con la fragilità psicologica, l’assenza di filtri interni e una cultura calcistica ancora troppo impreparata a intercettare il disagio dei suoi protagonisti più giovani.
Fagioli oggi parla con trasparenza, non per giustificarsi, ma per raccontare. Il suo non è un caso isolato. È la spia di un sistema che ha chiuso gli occhi troppo a lungo, mentre i suoi figli più talentuosi cadevano uno dopo l’altro sotto il peso di pressioni e ossessioni invisibili.
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