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Cronaca
21 Maggio 2025 - 12:07
“Non ce n’è orologi, ora devi pagare”: nuove intercettazioni rivelano l’angoscia di Fagioli nel sistema scommesse
Nel vortice che ha travolto il mondo del calcio italiano con l’inchiesta sul giro di scommesse clandestine, c’è un nome che spicca più di altri: Nicolò Fagioli. Non solo per la sua giovane età e per la maglia della Juventus, poi della Fiorentina, ma per la portata del coinvolgimento in una rete che intreccia calcio, dipendenze, truffe e riciclaggio. Una storia dove la passione per il gioco si è trasformata in ossessione, e dove il confine tra il campo e il crimine si è fatto sottile.
Nelle carte dell’inchiesta della Procura di Milano, guidata dal procuratore Marcello Viola e dai pm Roberta Amadeo e Paolo Filippini, è emerso ora un elemento decisivo. Una intercettazione vocale, datata maggio 2023, in cui Tommaso De Giacomo, uno dei presunti registi dell’organizzazione illegale, sbotta nei confronti di Fagioli:
“Non ce n’è orologi oggi! Non lo vedi che ti stiamo balzando come una pallina da una parte all’altra? Eh… non ce n’è orologi... pagare… pagare. Ma pagare vuol dire pagare: cioè più dell'importo dell'orologio e allora forse, forse, forse poi se ne può parlare”.
È una frase che vale più di un interrogatorio. Perché smonta la versione data dagli indagati nel corso delle audizioni preliminari, secondo cui i finti acquisti di orologi servivano solo a giustificare pagamenti rateizzati di beni di lusso. Al contrario, quello che emerge è una strategia di simulazione sistemica, dove i Rolex erano solo coperture contabili per mascherare il flusso di denaro destinato a saldare debiti di gioco. Fagioli, secondo la ricostruzione, era finito al centro di una spirale debitoria, da cui cercava di uscire con bonifici camuffati, compravendite mai avvenute e, infine, richieste disperate.
Nicolò Fagioli
Il messaggio di De Giacomo è brutale, quasi un ultimatum. Il tempo delle coperture è finito. Niente più orologi, ora servono pagamenti veri, maggiorati, con l'aggiunta implicita di penalità o “interessi” mafiosi. In mezzo, la paura di Fagioli, la pressione crescente e la posizione ambigua di un calciatore finito non solo nelle mani di riciclatori, ma nel ruolo – dicono gli atti – di “collettore”, cioè di promotore di piattaforme illegali verso altri calciatori.
La storia ha radici profonde. L’inchiesta della Guardia di Finanza ha già portato agli arresti domiciliari per cinque persone, tra cui appunto Tommaso De Giacomo e Patrik Frizzera, ritenuti i gestori del circuito illegale. Insieme a loro, coinvolti anche i titolari della gioielleria “Elysium Group”, accusati di emettere fatture false per coprire transazioni legate al gioco d’azzardo. Un sistema sofisticato, che ha movimentato oltre 1,5 milioni di euro, sfruttando conti correnti, carte PostePay, Revolut, e prestanome, con Fagioli tra i clienti più attivi e compromessi.
Il talento bianconero, inizialmente squalificato per 7 mesi dalla giustizia sportiva (sanzione ormai scontata), aveva ammesso le proprie responsabilità. Aveva raccontato la dipendenza, la vergogna, la solitudine, ma ora le nuove carte riaprono interrogativi pesanti: quanto sapeva? Quando ha smesso di essere vittima e ha cominciato a diventare parte del meccanismo? E chi lo ha lasciato scivolare così in basso, sotto gli occhi di un intero sistema?
Il caso Fagioli non è solo una deviazione individuale. È uno specchio. Riflette le crepe di un calcio che troppo spesso alimenta pressioni psicologiche enormi senza offrire strumenti di protezione veri. Dove le debolezze personali diventano terreno fertile per chi traffica in scommesse e sfrutta le fragilità.
E ora? Le indagini proseguono. Le posizioni si consolidano. E mentre la giustizia penale fa il suo corso, il mondo del calcio è chiamato non a commentare, ma a cambiare.
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