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21 Maggio 2025 - 11:57
All'alba di mercoledì 21 maggio, i Carabinieri hanno fatto irruzione in un condominio silenzioso e apparentemente anonimo di via Sandro Pertini a Chivasso.
Nessuna insegna, nessuna targa, nessun nome sul citofono. Dietro quella porta disadorna, in un appartamento che pareva volersi sottrarre a ogni identità, viveva Geremia Orlando Barbuto, uno dei 97 arrestati nell’ambito della maxi operazione antimafia “Millennium”, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. Un’operazione che ha scardinato un articolato sistema criminale della ‘ndrangheta diffuso tra Calabria, Piemonte, Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna, Sicilia e Sardegna.

Un arresto che fa tremare Chivasso, città di 27 mila abitanti alle porte di Torino, che ancora una volta si ritrova al centro della mappa dell’infiltrazione mafiosa nel Nord. Barbuto, volto sconosciuto alla gran parte dei residenti, si nascondeva in una quotidianità opaca, protetta dalla banalità dell’anonimato. Ma dietro quella normalità apparente, secondo gli investigatori, si muoveva in realtà come un tassello dell'ingranaggio di una rete criminale capace di gestire traffici internazionali di droga, estorsioni, sequestri di persona e operazioni economiche in odor di mafia.
Il nome di Barbuto è stato associato alla cosca Barbaro “Castani”, storicamente radicata nella zona di Platì, in Aspromonte, e da tempo proiettata verso il Nord Italia, dove ha saputo tessere alleanze, comprare silenzi e costruire un vero e proprio “ecosistema mafioso” parallelo.
La sua presenza a Chivasso non è casuale, ma si inserisce in una geografia criminale che qui ha già lasciato segni profondi.
Era il 2011 quando la città fu coinvolta nella clamorosa Operazione “Minotauro”, che portò all’arresto di oltre 140 persone in Piemonte, con accuse di affiliazione alla 'ndrangheta. In quell’occasione, vennero svelati legami tra boss calabresi e politici locali, e a Chivasso fu arrestato anche Bruno Trunfio, un ex assessore comunale.
Dopo Minotauro, Chivasso rischiò persino il commissariamento per mafia, un’ipotesi poi rientrata ma che lasciò strascichi lunghi nella vita politica e sociale della città. Il ritorno della ‘ndrangheta nella cronaca locale, con un nome e un indirizzo preciso, riapre quella ferita mai davvero sanata. È il segno che, nonostante arresti, processi e sentenze, la presenza mafiosa non è stata sradicata, ma semplicemente adattata e rimodulata.
L’operazione “Millennium” è stata portata avanti con il coinvolgimento del ROS, dello Squadrone Eliportato Cacciatori, del Nucleo Cinofili, del 14° Battaglione Carabinieri “Calabria”, dei reparti elicotteristi e di ICAN. Un’azione militare e investigativa coordinata, che ha svelato un’organizzazione criminale fluida, camaleontica, in grado di muoversi tra il Sud e il Nord, di inquinare appalti e raccogliere consensi politici.
Nell’elenco degli indagati, figurano nomi eccellenti della politica calabrese: Pasquale Tripodi, già assessore regionale, ai domiciliari; Sebastiano Romeo, ex capogruppo del PD in Consiglio regionale; e Alessandro Nicolò, ex consigliere regionale di Forza Italia passato a Fratelli d’Italia, già coinvolto nell’inchiesta “Libro Nero”. La 'ndrangheta, insomma, continua a convivere con la politica, l’economia e persino con le istituzioni.
Nel mirino dell’inchiesta anche due società, attive nei settori dell’edilizia e della ristorazione, sequestrate per presunto impiego come copertura delle attività mafiose. L’operazione è un colpo durissimo a una struttura criminale che, a detta della DDA, aveva saputo stringere una “confederazione” tra diverse cosche, condividendo strategie, voti e affari.
Ma il dettaglio che colpisce di più è forse proprio quell’appartamento senza nome, nel cuore di Chivasso. È lì che la mafia si nasconde. Nella discrezione. Nell’indifferenza. Nell’abitudine al silenzio.
Perché la mafia non ha bisogno di mostrarsi. Le basta esserci. Anche qui. Ancora una volta.
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