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Cronaca
13 Maggio 2025 - 11:49
Quando lo stalker minaccia anche i giudici: "'Il futuro è dei pazzi, vi faccio saltare con una bomba" (foto archivio)
"Voi non capite un c... Il futuro è dei pazzi. Io vi faccio saltare, metto una bomba nucleare". È solo una delle frasi gridate in aula da un 46enne imputato per stalking, durante l’udienza che si è tenuta nella Corte d’Appello di Torino. Una scena drammatica e surreale, quella vissuta il 13 maggio: l’uomo, già detenuto, si è rivolto in tono minaccioso e provocatorio al presidente e ai presenti in aula, costringendo i giudici ad allontanarlo. Prima di essere portato via ha urlato al presidente: "Tu non sei Dio, sei solo un uomo". La risposta, lucida e composta, è arrivata secca: "È vero, ma devo celebrare l’udienza e così non è possibile".
L’imputato era accusato di atti persecutori nei confronti di due dottoresse, entrambe professioniste del servizio sanitario pubblico che nel 2023 lo avevano avuto in cura in strutture psichiatriche. A una di loro avrebbe telefonato cinque volte in un solo giorno, con toni ossessivi e contenuti persecutori. L’inchiesta è stata accompagnata da una consulenza psichiatrica, che ha definito il profilo dell’uomo come affetto da disturbo schizoaffettivo bipolare grave, con elementi di disturbo narcisistico di personalità.
Nonostante la diagnosi, la Corte ha deciso di procedere con il giudizio. Al termine dell’udienza, l’uomo è stato condannato a un anno e cinque mesi di reclusione. Una pena che non spegne però le domande che emergono da episodi come questo: quando la malattia mentale si incrocia con la giustizia penale, chi viene tutelato? E in che modo?
Tribunale di Torino
Il caso del 46enne porta alla luce un terreno fragile e spesso ignorato: la gestione giudiziaria delle persone con gravi disturbi psichiatrici, che troppo spesso finiscono nelle aule dei tribunali come semplici imputati, senza che venga realmente considerato il loro stato di salute mentale. La diagnosi c’è, il reato anche. Ma la risposta penale è davvero sufficiente o serve una presa in carico multidisciplinare, che coinvolga la magistratura, la sanità e i servizi sociali?
Nel frattempo, due dottoresse hanno vissuto una persecuzione silenziosa, fatta di chiamate, pressioni, minacce. E in aula, tutti hanno assistito a un’esplosione verbale che avrebbe potuto diventare altro, se non ci fosse stato il filtro del processo, delle forze dell’ordine, delle mura del tribunale.
È un equilibrio delicatissimo, quello tra tutela delle vittime e trattamento del disagio mentale. Eppure imprescindibile. Perché la giustizia, da sola, non può bastare. Ma nemmeno la psichiatria può ignorare il danno che alcuni comportamenti, anche se patologici, possono infliggere. In mezzo, ci sono le persone. Quelle che curano. Quelle che vengono perseguitate. Quelle che gridano, confuse, da una gabbia di dolore e malattia.
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