Cerca

Animali

Addio a Gianfranco, il gatto mascotte del birrificio: colpito da un proiettile, è morto dopo mesi di agonia

A Vercelli un gesto vile spezza il legame tra un’intera comunità e il suo amato felino. Gianfranco era più di un animale domestico: era simbolo di affetto, condivisione e identità. La sua storia diventa oggi denuncia e memoria collettiva

La tragica fine di Gianfranco

Addio a Gianfranco, il gatto mascotte del birrificio: colpito da un proiettile, è morto dopo mesi di agonia

Non è una cronaca qualsiasi quella che arriva da Vercelli. È la storia di un legame spezzato, di un gatto che era diventato famiglia, simbolo silenzioso e peloso di un’intera comunità raccolta attorno a un birrificio. Gianfranco, mascotte del BSA Beer, è morto dopo mesi di sofferenza, colpito da un proiettile ad aria compressa. Un gesto vile, incomprensibile, che ha lasciato un’intera città senza parole.

Gianfranco non era solo un animale domestico. Era il primo ad accogliere i clienti, a sedersi tra i tavoli, a strusciarsi contro le gambe con quella naturalezza tipica di chi sa di appartenere a un luogo. E a quel luogo, il BSA Beer di Vercelli, apparteneva davvero. Era mascotte, compagno e custode di storie condivise, tanto da diventare protagonista silenzioso dei post social, delle serate, degli abbracci inaspettati.

Poi l’orrore. Colpito da un proiettile, ha continuato a vagare nei dintorni del birrificio, ferito ma ostinato, cercando la sua casa, la sua gente. Per settimane i gestori hanno lanciato appelli sui social, chiedendo aiuto per individuarlo e portarlo dal dottor Damiani, il veterinario che avrebbe potuto salvarlo. Ma il tempo e la crudeltà hanno avuto la meglio. La notizia della sua morte è arrivata via Instagram, tra lacrime digitali, cuori rossi e ricordi che sembrano appartenere a un'epoca più tenera.

Visualizza questo post su Instagram

Un post condiviso da BSA Beer Club (@bsabeerclub)

«Abbiamo perso un amico, un’anima pura», scrivono dal BSA Beer. E chi lo ha conosciuto sa che è vero. Gianfranco era innocenza, era quella presenza discreta che leniva le giornate pesanti e sapeva ascoltare anche senza parole. Il suo volto resta ora simbolo di tutto ciò che è stato distrutto da un gesto gratuito, emblema di una civiltà che ancora fatica a proteggere i più deboli, anche quando questi hanno quattro zampe e non chiedono altro che affetto.

La morte di Gianfranco è una ferita aperta. Ma è anche una chiamata alla responsabilità collettiva: non voltarsi dall’altra parte, denunciare, educare, rispettare. Perché un animale ferito è sempre una comunità ferita. E Vercelli, oggi, ha perso uno dei suoi migliori cittadini. Con la coda e il cuore grande.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori