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Cronaca

Assolti per aver custodito armi ereditate: il tribunale smonta una legge del ’67 e accende la miccia della riforma

A Torino si chiude con un’assoluzione il processo al poliziotto e alla fidanzata, ma si apre una crepa nel sistema normativo italiano: una legge del 1967 non regge più il passo della realtà

Assolti per aver custodito armi ereditate

Assolti per aver custodito armi ereditate: il tribunale smonta una legge del ’67 e accende la miccia della riforma

Una pistola e due carabine, un’eredità paterna, una caserma, e una norma risalente a oltre cinquant’anni fa. Così è nato – e si è concluso il 28 aprile 2025 – uno dei processi più controversi dell’anno nel tribunale di Torino. Un poliziotto del reparto mobile e la sua fidanzata erano finiti sotto accusa per non aver segnalato alle autorità lo spostamento di armi da fuoco, come richiesto dalla legge 895 del 1967. A nulla è servito, per l’accusa, il fatto che le armi fossero state spostate solo per proteggerle, dopo la morte del padre della donna. Per il pubblico ministero Giovanni Caspani, la legge era chiara: sei mesi per lui, cinque mesi e venti giorni per lei, questa la richiesta.

Ma il tribunale ha deciso diversamente. Proscioglimento per entrambi. Non perché le armi non ci fossero, non perché la legge non esistesse, ma perché, nella sostanza, la norma è apparsa inadeguata al contesto moderno. L’articolo 38 della legge del 1967 prevede l’obbligo di comunicazione per ogni trasloco di armi, anche se temporaneo, anche se dettato da motivi di sicurezza. Ma in questo caso – ha argomentato la difesa – non c’era volontà di occultare nulla. Solo l’intenzione di evitare che le armi rimanessero incustodite in un’abitazione privata, finché non fosse stato possibile sistemare la successione.

Tribunale di Torino

L’aula era gremita, il clima teso. E quando la sentenza è stata letta, è parso subito chiaro che il caso non si sarebbe chiuso lì. Il proscioglimento non è passato inosservato, soprattutto tra giuristi, parlamentari e operatori delle forze dell’ordine. Perché dietro la vicenda giudiziaria si nasconde una falla legislativa: una legge scritta in un’Italia che non esiste più, quando le armi erano merce rara e il possesso rigidamente circoscritto a categorie ben definite. Oggi, con armi regolarmente detenute in molte famiglie, anche per motivi sportivi o ereditari, non è più accettabile che il sistema normativo non distingua tra chi vuole aggirare la legge e chi, per prudenza, cerca di custodire meglio ciò che ha ereditato.

La sentenza ha già riacceso il dibattito politico. C’è chi chiede una riforma urgente, per aggiornare le regole alle esigenze del presente. Chi propone procedure digitali più snelle per la comunicazione delle movimentazioni. E chi, come alcune sigle sindacali di polizia, solleva il tema della responsabilità degli agenti quando si trovano coinvolti – anche indirettamente – in casi simili. Nel frattempo, le armi sono state confiscate, un gesto che testimonia l’attenzione delle autorità verso la sicurezza pubblica. Ma resta l’amaro in bocca per una legge che, nel tentativo di essere rigida, finisce per essere ingiusta con chi agisce in buona fede.

Quello che doveva essere un piccolo processo per omissione burocratica si è trasformato in una miccia accesa nel dibattito sulla gestione delle armi in Italia. E se qualcosa cambierà nei prossimi mesi, sarà anche grazie a questa storia, finita con un'assoluzione ma destinata a pesare molto di più di una semplice sentenza.

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