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Cronaca
18 Aprile 2025 - 11:33
Usura e intimidazioni nella Torino del nord: tre fratelli nei guai, dodici imprenditori strozzati con interessi fino al 300%
Nella zona nord di Torino, dietro la facciata di prestiti tra conoscenti e piccoli aiuti “amichevoli”, si nascondeva un meccanismo spietato di usura, fatto di ricatti sottili, linguaggi in codice e denaro murato in casa. È quanto ha svelato l’inchiesta “Summus” della Guardia di Finanza, coordinata dalla Procura torinese, che ha portato a quattro misure cautelari per altrettanti soggetti, tre dei quali fratelli di origine siciliana già noti per reati dello stesso tipo.
I provvedimenti, eseguiti nelle scorse ore, prevedono un arresto domiciliare, due obblighi di dimora e una misura di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria. Contestualmente, i finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria hanno eseguito il sequestro preventivo di circa 58.000 euro, una somma che in parte è stata rinvenuta murata in una parete durante le perquisizioni.
L’indagine, avviata nel 2022, ha messo in luce una rete ben strutturata di prestiti usurari avviati dal 2020, diretti principalmente a imprenditori in difficoltà: sono dodici le vittime accertate, tutte attive tra microimprese, commercio e artigianato. I tassi applicati variavano in modo mostruoso: dal 120% fino al 300% annuo, una spirale che trasformava debiti da poche centinaia di euro in voragini finanziarie.
Non servivano grandi cifre per finire in trappola: bastavano prestiti da 300 a 30mila euro, riscossi con cadenze settimanali o mensili, accompagnati da minacce velate e clausole impossibili da rispettare. Per rendere più difficile il tracciamento delle conversazioni, i tre fratelli utilizzavano un codice lessicale per parlare del denaro: “grissini”, “pasticcini”, “mutande”, “pane”. Parole comuni che nascondevano interessi esorbitanti.
Indagini condotte dalla GdF
Un ruolo particolare è emerso per la quarta persona coinvolta, considerata dalla procura sia indagata che vittima. Si sarebbe prestata, secondo gli inquirenti, a intermediare in un prestito, ottenendo in cambio un trattamento agevolato sulle proprie pendenze, con un interesse “di favore” fissato al 10% mensile anziché ai livelli usurari usuali. Una collaborazione che, agli occhi degli investigatori, non basta a escluderne la responsabilità.
“Si tratta di un’organizzazione a carattere familiare – spiegano fonti investigative – che operava con modalità consolidate, in un contesto di grave vulnerabilità economica, sfruttando le difficoltà di chi, in pandemia e nel post-pandemia, ha perso l’accesso al credito legale”.
A destare attenzione è anche la modalità con cui il denaro veniva nascosto: grazie all’uso di tecnologie di rilevamento avanzate, durante le perquisizioni i finanzieri hanno scoperto parte della somma murata tra due pareti, confezionata in pacchetti sigillati e posizionata in una cavità appositamente realizzata. Un sistema che richiama metodi da criminalità organizzata, benché l’inchiesta non parli al momento di legami con clan.
L’inchiesta “Summus” apre ora un nuovo fronte sul fenomeno dell’usura nel tessuto torinese, dove famiglie e piccoli imprenditori diventano bersaglio perfetto per un sistema che si muove nell’ombra, spesso senza bisogno di violenza esplicita, ma con una pressione psicologica costante e devastante.
Le indagini proseguono, con l’ipotesi che le vittime possano essere molte di più. Intanto, i tre fratelli e il quarto complice dovranno rispondere di un’accusa grave: aver trasformato la fragilità economica altrui in un’opportunità criminale, con “grissini” e “pane” che profumavano di ricatto.
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