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Il sindacalista della 'ndrangheta: la doppia vita di Ceravolo tra uffici Cisl e cosche calabresi

Domenico Ceravolo, ex segretario della Filca-Cisl Torino-Canavese, arrestato per mafia: casa pagata dal sindacato, viaggi spesati per processi contro la 'ndrangheta, favori ai parenti dei boss e silenzi compiacenti dei vertici. Un sistema “underground” che faceva comodo a molti

Il sindacalista della 'ndrangheta: la doppia vita di Ceravolo tra uffici Cisl e cosche calabresi

Il sindacalista della 'ndrangheta: la doppia vita di Ceravolo tra uffici Cisl e cosche calabresi

La sua scrivania era in un ufficio della Filca-Cisl di Torino. Il suo vero compito, però, lo svolgeva per conto della ’ndrangheta. Il 24 settembre 2024 è stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta "Factotum" con accuse pesantissime: Domenico Ceravolo, ex segretario organizzativo della Filca-Cisl Torino-Canavese, avrebbe messo le sue competenze e le sue relazioni al servizio dei clan calabresi radicati in Piemonte, diventando, secondo la DDA di Torino, il loro uomo di fiducia nel mondo del lavoro.

Originario del Vibonese ma cresciuto a Torino, Ceravolo si muoveva come un funzionario sindacale modello, ma i fatti dicono altro. Era il collante tra la cosca Bonavota, il clan di Francesco D’Onofrio – ritenuto uno dei capi della ’ndrangheta in Piemonte – e il tessuto produttivo del Nord-Ovest. Un uomo che sapeva risolvere, sistemare, procurare, coprire. Lo chiamavano “factotum” non a caso. Un intermediario perfetto, mimetizzato tra scrivanie e moduli sindacali, ma con un piede ben piantato nel mondo criminale.

Nicola Gratteri

Il Magistrato Nicola Gratteri

Tra i benefit più inquietanti di cui godeva, c’è l’abitazione in corso Siracusa a Torino. Affitto da 470 euro al mese, spese incluse. Pagava la Filca-Cisl. Non un rimborso una tantum, ma un sostegno costante, che la stessa organizzazione sindacale – come emergerebbe dalle intercettazioni – sapeva essere irregolare, tanto da definirlo “underground”. Una concessione fuori dalle regole, passata sotto silenzio. Ma quell’alloggio non serviva solo a lui. Gli investigatori hanno accertato che, tra il 2020 e il 2022, a quell’indirizzo risultavano residenti anche Vincenzo Valenti, cognato del boss D’Onofrio, e Saverio Galati, figlio di Pino Galati, capobastone del “locale” di Piscopio, nel Vibonese. Quando il giovane Galati doveva salire a Torino per studiare, sapeva dove andare. Una sorta di foresteria mafiosa a spese del sindacato.

Ma le concessioni non si fermano all’alloggio. Ogni volta che Ceravolo si trovava coinvolto in vicende giudiziarie, i suoi privilegi aumentavano. Emblematica è la trasferta in Calabria del febbraio 2023: convocato come persona informata sui fatti nel processo Rinascita-Scott, si reca a Vibo Valentia. Una trasferta che nulla ha a che fare con le attività sindacali, eppure biglietti e spese vengono rimborsati dalla Filca-Cisl, per volontà di dirigenti come Ottavio De Luca e Mario De Lellis, con l’assenso dei vertici romani. Quando Ceravolo prova a giustificare il viaggio dicendo di essere andato a trovare il figlio, è un dirigente nazionale a rimettere le cose a posto: “Da Gratteri sei andato!”, in riferimento all’allora procuratore capo antimafia Nicola Gratteri.

Il quadro si completa con episodi che sembrano scritti da una penna grottesca: Ceravolo si dà da fare per garantire un colloquio di lavoro “blindato” alla nuora di D’Onofrio – la moglie del figlio del boss – in un Caf Cisl della provincia. La lettura degli atti non lascia spazio a dubbi: il colloquio non era una possibilità, era già deciso. L’operazione va in scena il giorno prima dell’arresto del suocero.

Intanto, sui social, Ceravolo non nascondeva nulla. Pubblicava immagini di San Michele Arcangelo, il patrono delle forze dell’ordine ma anche – secondo la simbologia mafiosa – protettore spirituale dei clan. E quando nel 2023 la Cisl gli propone di aderire all’associazione “Libera contro le mafie”, fondata da don Luigi Ciotti, lui risponde senza mezzi termini: “Credo nella giustizia divina”. E accompagna la frase con emoticon sorridenti. Il rifiuto di ogni impegno contro la criminalità organizzata, espresso con leggerezza, sarcasmo e convinzione.

Dagli atti emerge una gestione opaca del potere sindacale, trasformato in macchina di favori per i clan. Ceravolo aiutava latitanti, preparava pratiche per il reddito di cittadinanza intestate agli affiliati, garantiva mutui utilizzando la propria busta paga per conto delle famiglie mafiose. Nulla, però, lasciava presagire un comportamento isolato. La sensazione – più che una sensazione – è che più persone sapessero, e che qualcuno, forse, abbia anche coperto. La Cisl, dopo l’arresto, ha annunciato l’apertura di verifiche interne. Ma in molti si chiedono come sia stato possibile tutto questo. Come abbia potuto un uomo costruire per anni un’infrastruttura mafiosa dentro un’organizzazione nata per tutelare il lavoro e i lavoratori.

Oggi Ceravolo è detenuto nel carcere di Voghera. Ma le ombre gettate dalla sua attività non si fermano a lui. Il suo caso scuote le fondamenta del sindacato, apre interrogativi politici e morali, solleva il velo su un sistema che – più che infiltrato – sembra avere cooperato attivamente. È stato un sindacalista, certo. Ma non dei lavoratori. Era un sindacalista dei clan.

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