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Cronaca
02 Aprile 2025 - 22:19
Francesco D'Onofrio
Una vecchia pistola, nascosta nel muro di casa, riporta alla luce uno dei delitti più gravi e ancora oscuri della storia giudiziaria italiana: l’assassinio del procuratore capo di Torino, Bruno Caccia, freddato con 14 colpi di pistola la sera del 26 giugno 1983. L’arma, una P38 Special Smith & Wesson, è stata rinvenuta il 24 settembre 2024 nella casa di Francesco D’Onofrio a Moncalieri, nel corso di una perquisizione effettuata dalla Guardia di Finanza e dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Torino. Il ritrovamento ha portato la Procura di Milano a chiedere e ottenere la riapertura delle indagini sull’omicidio, con l’iscrizione di D’Onofrio nel registro degli indagati come presunto concorrente nel delitto.
La pistola era nascosta nell’incavo di un mattone forato, in un corridoio dell’abitazione. Accanto, 15 cartucce calibro 38, tutte risalenti ai primi anni ’80. L’arma, con matricola 3665451, era stata importata in Italia nel 1979 da un’azienda torinese e successivamente venduta a un’armeria di Moncalieri. È compatibile con quella utilizzata nel delitto Caccia, e sarà ora sottoposta a una serie di accertamenti balistici per stabilire eventuali riscontri scientifici.
Francesco D’Onofrio, 69 anni, è un volto già noto alla giustizia. Già condannato per associazione mafiosa, è ritenuto dagli inquirenti uno dei capi della rete della ‘ndrangheta in Piemonte, con collegamenti diretti con le cosche calabresi. Nel settembre 2024 è stato arrestato nell’ambito dell’operazione “Factotum”, un’inchiesta che ha svelato un vasto sistema di potere criminale radicato nel Nord Italia, tra estorsioni, traffico d’armi, spartizione del territorio e contatti con il mondo imprenditoriale. Ma il nome di D’Onofrio era già emerso anni fa proprio nell’ambito delle indagini sull’omicidio del procuratore.
Nel dicembre 2023, il gip di Milano Mattia Fiorentini aveva archiviato una prima inchiesta che vedeva D’Onofrio indagato come possibile esecutore materiale del delitto. L’indagine, portata avanti dalla Procura generale di Milano, si fondava su dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, ma fu giudicata basata su congetture e priva di riscontri oggettivi. Ora però, con il ritrovamento dell’arma compatibile, lo scenario cambia radicalmente.
Dopo una trasmissione degli atti da Torino a Milano, il procuratore Marcello Viola e le pm Cecilia Vassena e Silvia Bonardi hanno chiesto – e ottenuto – la riapertura del fascicolo. Il gip Fiorentini ha accolto l’istanza, e D’Onofrio è stato formalmente iscritto come indagato. Le nuove indagini non si limiteranno all’analisi balistica: verranno riesaminati documenti d’archivio, verbali di interrogatori, tracciati telefonici, perizie e tutto ciò che, 41 anni dopo, può contribuire a fare finalmente luce sul delitto.
L’omicidio di Bruno Caccia, unico magistrato ucciso dalla mafia nel Nord Italia, è sempre stato un caso emblematico. Caccia stava indagando su un intreccio torbido di interessi mafiosi, riciclaggio e criminalità organizzata, quando fu ucciso con 14 colpi di pistola sotto casa. Per anni si è parlato di depistaggi, reticenze e verità parziali.
Bruno Caccia
Il mandante, Domenico Belfiore, è stato condannato all’ergastolo in via definitiva nel 1992. Solo nel 2015 si è arrivati alla condanna anche dell’esecutore materiale, Rocco Schirripa, arrestato dopo una lunga attività investigativa della Procura di Milano. Ma l’identità del secondo uomo, quello che probabilmente accompagnò Schirripa la notte dell’agguato, è rimasta sempre un punto irrisolto.
D’Onofrio potrebbe essere proprio quel secondo uomo. È quanto ipotizzano oggi gli inquirenti, alla luce della compatibilità dell’arma trovata nella sua abitazione e del suo profilo criminale. Il sospetto è che abbia coperto, pianificato o addirittura partecipato all’azione, agendo su mandato di Belfiore o di altri vertici della ‘ndrangheta interessati a zittire per sempre il procuratore che stava cominciando a collegare i fili tra mafia, politica e affari nel Piemonte degli anni ’80.
E ora, a distanza di 41 anni, potrebbe essere un’arma nascosta in casa a Moncalieri a fare finalmente giustizia. Un dettaglio sepolto nella polvere del tempo che rischia di riaprire un capitolo scomodo per molti e che dimostra, ancora una volta, quanto la ‘ndrangheta al Nord sia stata – e continui a essere – ben più che una presenza marginale.
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