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Cronaca

Tragedia a San Carlo Canavese: muore a 23 anni dopo un intervento chirurgico, dopo 8 anni ancora nessuna condanna

Giovane mamma muore dopo un intervento chirurgico

Tragedia a San Carlo Canavese

Tragedia a San Carlo Canavese: muore a 23 anni dopo un intervento chirurgico, dopo 8 anni ancora nessuna condanna

Erika Colombatto aveva solo 23 anni quando, il 26 luglio 2017, morì in seguito a un intervento di riduzione dello stomaco al Policlinico San Pietro di Bergamo. Giovane madre, originaria di San Carlo Canavese, aveva deciso di sottoporsi a quell’operazione perché non riusciva ad accettare il proprio corpo dopo la gravidanza. Il suo peso, aumentato di circa 30 chili, la faceva sentire insicura, nonostante i medici delle Molinette di Torino le avessero detto che rientrava nella norma e che poteva affrontare un percorso di dimagrimento supportato da psicologi, senza bisogno di un intervento chirurgico. Ma Erika voleva dimagrire a tutti i costi e scelse di rivolgersi a una struttura privata, dove le fu rilasciata una dichiarazione di obesità che la rendeva idonea alla chirurgia bariatrica.

Quello che doveva essere un intervento di routine si trasformò rapidamente in un calvario medico. Dopo la prima operazione, sopraggiunsero complicazioni che la costrinsero a sottoporsi a quattro interventi chirurgici nel giro di pochi mesi. Perse rapidamente 15 chili, fu alimentata con una canula e soffrì di dolori insopportabili all’addome. La situazione si aggravò quando i medici decisero di rimuovere un tutore inserito per stabilizzare la sua condizione. Durante l’operazione, Erika subì un arresto cardiaco e non si risvegliò più.

Per otto anni, il padre, Sergio Colombatto, ha portato avanti una lunga battaglia legale per ottenere giustizia. Ora è sfinito. E il risarcimento che ha ottenuto in sede civile, dopo il patteggiamento della struttura sanitaria, "non è sufficiente neanche a coprire le spese legali".

Tuttavia, in sede penale, i quattro medici accusati di omicidio colposo sono stati assolti. Il tribunale ha riconosciuto un errore nella gestione dell’emergenza, ritenendo che la morte di Erika fosse stata causata da una embolia gassosa polmonare dovuta all’anestesia. Secondo il padre, il problema sarebbe stato evitabile se i medici avessero intubato la figlia in tempo, invece di procedere frettolosamente senza adottare le manovre salvavita necessarie.

Colombatto ha più volte espresso la sua frustrazione per l'esito del processo, sottolineando che il giudice gli aveva detto che il medico non era perseguibile e che la sua fosse solo sete di vendetta. A distanza di anni, il dolore non si è attenuato: il padre ha dichiarato: "Nessun risarcimento può restituire la vita di mia figlia, la mia esistenza è ormai segnata da sofferenza e ricordi dolorosi".

Ha raccontato che Erika aveva deciso di sottoporsi all’operazione dopo che, solo due settimane prima, le era stato impedito di salire su una giostra perché il seggiolino non si chiudeva. Questo episodio l’aveva profondamente colpita, spingendola ancora di più a desiderare di perdere peso velocemente.

L’intera vicenda riapre il dibattito sulla chirurgia bariatrica e sulla pressione sociale che porta molte persone, soprattutto giovani donne, a intraprendere scelte drastiche pur di conformarsi a un ideale estetico. Erika aveva consultato diversi medici prima di operarsi e alle Molinette di Torino le era stato detto chiaramente che il suo peso non rappresentava un problema di salute. Le era stato offerto un percorso di dimagrimento alternativo, con il supporto di specialisti che avrebbero potuto aiutarla a riconquistare fiducia in sé stessa senza passare sotto i ferri. Tuttavia, la giovane non volle ascoltare nessuno e scelse di procedere con l’intervento in una clinica privata, dove la sua situazione fu trattata in modo molto diverso.

La domanda che rimane aperta è se vi sia stata una sottovalutazione dei rischi connessi all’intervento e se i medici abbiano gestito in modo adeguato le complicazioni post-operatorie. La struttura sanitaria, dopo la morte di Erika, ha dichiarato di aver chiesto un riscontro diagnostico per approfondire le cause del decesso e ha espresso il proprio cordoglio alla famiglia, difendendo però l’operato dei chirurghi e dei rianimatori.

La vicenda lascia aperti molti interrogativi sulla gestione dei percorsi di dimagrimento chirurgico, sulla responsabilità delle cliniche private e sull’importanza di un corretto supporto psicologico per chi vive un disagio legato all’aspetto fisico.

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