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Cronaca
12 Febbraio 2025 - 09:52
Torino, agente immobiliare vittima di violenza
Un caso di violenza sessuale ha scosso Torino, portando alla conferma di una condanna in Corte d’Appello. Il 4 giugno 2020, una valutazione immobiliare si è trasformata in un incubo per un’agente immobiliare di 60 anni, aggredita da un pittore 62enne all’interno di un appartamento che avrebbe dovuto stimare per la vendita.
Secondo l’accusa, l’uomo avrebbe palpato il fondoschiena della donna mentre si trovavano nella camera da letto, costringendola a fuggire in preda al panico. L’episodio ha portato a una denuncia e a un processo in cui l’imputato è stato condannato in primo grado a un anno e quattro mesi di reclusione. Recentemente, anche la Corte d’Appello ha confermato la condanna, ritenendo valide le dichiarazioni della vittima e respingendo la tesi difensiva.
L’imputato ha sempre negato le accuse, sostenendo che un trauma subito in adolescenza gli ha causato una menomazione al braccio sinistro, impedendogli di muovere la mano, descritta come “a flipper”. Secondo il suo legale, Annunziata Morabito, questa disfunzione renderebbe impossibile l’atto contestato. Tuttavia, perizie mediche e testimonianze non hanno convinto i giudici, che hanno ritenuto la versione dell’accusa più credibile.
Condannato per aver palpeggiato l'agente immobiliare
La Corte d’Appello ha ribadito la condanna a un anno e quattro mesi di reclusione, oltre al pagamento di 10mila euro tra spese legali e danni alla vittima. Nelle motivazioni della sentenza, i giudici hanno sottolineato che l’asserita incapacità fisica dell’imputato a compiere il gesto è un “falso problema”. La testimonianza della donna è stata considerata chiara, precisa e coerente, evidenziando un comportamento esplicito e non equivocabile come un gesto involontario.
L’avvocato della vittima, Antonio Maria Borello, ha evidenziato come spesso si tenti di ridimensionare episodi di aggressione sessuale. “Il consenso o c’è o non c’è”, ha dichiarato, sottolineando l’importanza di rispettare i confini personali e di riconoscere i segnali di violenza. Questo caso solleva interrogativi su come la società affronti e percepisca le denunce di violenza sessuale, in particolare quando si intrecciano con condizioni fisiche particolari dell’imputato.
Dopo la conferma della condanna in appello, all’imputato resta solo il ricorso in Cassazione per evitare che la sentenza diventi definitiva. Un’opzione che appare complessa, dato il rigetto delle sue argomentazioni nei due gradi di giudizio.
Il caso ha acceso il dibattito sull’equilibrio tra prove mediche e testimonianze delle vittime, ribadendo l’importanza di tutelare i diritti personali e garantire che episodi di violenza non vengano minimizzati. La giustizia ha parlato, ma il percorso giudiziario potrebbe non essere ancora concluso.
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