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Cronaca
14 Gennaio 2025 - 23:57
Omicidio Massimo Lodeserto, cadavere trovato in una cantina in via San Massimo 33 a Torino
Per mesi, il corpo senza vita di Massimo Lodeserto è rimasto nascosto negli scantinati di una vecchia palazzina del centro storico di Torino. Una presenza invisibile, celata tra masserizie e silenzi, mentre i suoi familiari cercavano disperatamente risposte. Massimo, 58 anni, era conosciuto nel quartiere per il suo carattere affabile e scherzoso. Sembrava essersi dissolto nel nulla, svanito in un giorno qualsiasi, lasciando dietro di sé solo inquietanti interrogativi.
Il 4 dicembre 2024, dopo un’indagine lunga e tortuosa, i carabinieri hanno posto fine al mistero. Hanno fatto irruzione nel sotterraneo dove il corpo di Massimo è stato rinvenuto: ucciso con ferocia, colpito alla testa con un martello, accoltellato due volte alla schiena e poi abbandonato, coperto da cianfrusaglie, come se qualcuno volesse cancellare ogni traccia di quella violenza efferata.
Oggi, il tribunale ha condannato a vent’anni di carcere per omicidio volontario e occultamento di cadavere il presunto responsabile: Nino Capaldo, 57 anni, originario di Frattamaggiore (Napoli). Capaldo, un ex collaboratore di giustizia con un passato torbido legato alla camorra, era già noto alle forze dell’ordine. Tuttavia, questa volta, la criminalità organizzata non c’entra: il delitto sarebbe nato da una lite per un debito non saldato e, forse, per una donna.
Capaldo, infatti, stava già scontando in regime di detenzione domiciliare una condanna a 15 anni per un omicidio commesso nel 2014. La vittima, Edokpa Gowin, detto "Nokia", un cittadino nigeriano, era stata uccisa con un colpo di pistola nel Casertano, in un contesto di violenti contrasti tra gang per il controllo dello spaccio di droga. All’epoca, Capaldo era stato indicato come affiliato al clan Gagliardi-Fragnoli di Mondragone, ma la sua collaborazione con gli inquirenti gli aveva garantito l’inserimento nel programma di protezione e il trasferimento a Torino, dove nessuno conosceva il suo passato. Per i vicini, era un uomo qualunque, che a volte si spacciava persino per maresciallo dei carabinieri in pensione.
La vicenda che ha portato alla morte di Lodeserto sembra intrecciarsi con motivi personali e un contesto di profonda tensione. Secondo le ricostruzioni, Capaldo si sarebbe invaghito della ex fidanzata di Lodeserto, la quale sosteneva di vantare un credito di 100 mila euro nei confronti di Massimo dai tempi in cui i due gestivano una piccola impresa di pulizie. Un credito di cui, però, non esiste alcuna traccia nelle cartelle esattoriali esaminate dagli investigatori. Il 30 agosto 2024, giorno in cui Massimo avrebbe dovuto iniziare un nuovo lavoro, i due uomini si incontrarono. Fu l’ultima volta che qualcuno vide Lodeserto vivo.
In aula, l’avvocato difensore di Capaldo, Gianluca Orlando, ha cercato di far valere la tesi della legittima difesa, sostenendo che il suo assistito avrebbe agito per proteggersi durante un’aggressione. Ma la Corte non ha accolto questa linea difensiva. I vent’anni di reclusione rappresentano il massimo della pena, considerando che il processo si è svolto con rito abbreviato, il quale prevede lo sconto automatico di un terzo. Non sono state contestate né la premeditazione né altre aggravanti.
Tre familiari di Massimo Lodeserto si sono costituiti parte civile tramite l’avvocato Roberto Saraniti e hanno ottenuto, almeno per ora, una provvisionale di 40 mila euro ciascuno. Una somma che non restituirà loro un fratello, un figlio, un parente amato, ma che rappresenta un primo riconoscimento del dolore inflitto.
Quanto a Capaldo, è stato trasferito in un carcere fuori dal Piemonte, dove sconterà la sua pena. Un epilogo che lascia spazio a molte domande: sulle falle del sistema di protezione, sulle fragilità umane e su un’esistenza interrotta brutalmente, senza un motivo che possa giustificare tanta violenza.
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