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Cronaca

Torino, follia domestica: "Non puoi mangiare carne al sangue né stare in pigiama la domenica"

Un marito controllante e una moglie coraggiosa: la sentenza che ha messo fine a un incubo familiare a Torino

Torino, follia domestica

Torino, follia domestica: "Non puoi mangiare carne al sangue né stare in pigiama la domenica"

In una Torino che spesso si perde tra le sue bellezze architettoniche e la frenesia della vita urbana, si è consumata una storia di controllo e oppressione che ha trovato il suo epilogo in un'aula di tribunale. Il caso, che ha visto un uomo condannato a tre anni di reclusione per stalking e maltrattamenti, ha messo in luce un lato oscuro della vita familiare, fatto di regole assurde e umiliazioni quotidiane.

La vicenda, che ha portato alla condanna di un marito torinese, è emersa grazie alla determinazione della moglie, che ha trovato il coraggio di denunciare anni di soprusi. Le regole imposte dall’uomo, apparentemente banali, erano in realtà strumenti di controllo che rendevano la vita della donna un inferno.

Tra queste, il divieto di mangiare carne di cavallo al sangue, bere vin brulè o mangiare zabaione d’inverno, perché considerati comportamenti inappropriati o “da vecchi”. Persino il semplice gesto di sedersi sul divano la sera era vietato, poiché il marito non voleva acquistare una lavastoviglie e si occupava personalmente di lavare i piatti.

Le regole non si fermavano qui. La donna non poteva rimanere in pigiama la domenica mattina, considerato un segno di pigrizia. Ogni azione quotidiana era scrutinata e criticata: il modo di tagliare il pane o sbucciare il salame doveva essere "consono" per evitare sprechi, e persino il linguaggio era oggetto di continue correzioni. “Gli ho detto”, una frase innocua, diventava motivo di derisione se non conforme alle rigide regole grammaticali imposte dal marito.

Anni di reclusione per stalking e maltrattamenti

Il controllo economico

Oltre al controllo personale, l’uomo esercitava un rigido controllo economico. Il budget familiare era deciso unilateralmente e non poteva essere sforato, nemmeno per piccoli acquisti come un tavolino dell’Ikea. Questo nonostante la coppia avesse una buona situazione economica, con risparmi di circa 50.000 euro. La gestione del denaro era un ulteriore strumento di potere, che limitava l’autonomia della moglie.

La storia è stata riassunta nella motivazione della sentenza firmata dal giudice Milena Chiara Lombardo, che ha riconosciuto le condotte aggressive e persecutorie dell’uomo. L’avvocato Isabella Ferretti, legale di parte civile, ha sottolineato come si trattasse di un caso di maltrattamenti a 360 gradi, che andava oltre la violenza fisica.

La collega Federica Dolfi, che ha assistito una delle figlie, ha evidenziato l’importanza di non sottovalutare gli episodi di controllo psicologico. La condanna a tre anni di reclusione, convertita in detenzione domiciliare, rappresenta un passo importante verso la giustizia per la donna e le sue figlie. La sua decisione di denunciare ha messo fine a un incubo e ha aperto la strada a una nuova vita, libera dalle catene di un controllo oppressivo.

Questa vicenda solleva interrogativi importanti su come le dinamiche di potere possano manifestarsi all’interno delle mura domestiche. Le regole assurde imposte dal marito non erano solo un capriccio, ma un mezzo per esercitare un controllo totale sulla vita della moglie.

La storia di Torino è un esempio di come il coraggio di una persona possa fare la differenza. In un mondo dove le vittime di abusi spesso rimangono in silenzio per paura o vergogna, la denuncia diventa un atto di ribellione e di speranza. È un invito a non sottovalutare mai il potere delle parole e delle azioni, e a sostenere chi trova la forza di dire basta.

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