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Cronaca
19 Novembre 2024 - 00:57
Le luci dei lampeggianti si riflettono sulla nebbia densa che avvolge il comprensorio Smat, in corso Unità d’Italia, alle porte di Torino. È una serata gelida, l’aria è pesante e tagliente. Intorno, si muovono operai, soccorritori, carabinieri. Ma al centro di tutto c’è un dramma che nessuno potrà dimenticare.
Il nome che emerge dalla confusione è quello di Fatmir Isufi, un uomo di cinquantuno anni, originario di Scutari, in Albania, ma residente da anni in Brianza. Operaio edile esperto, lavorava per la ditta bresciana Palingeo, specializzata in interventi di pre-consolidamento del terreno. Era lì per un lavoro importante, per preparare il terreno a una vasca di pompaggio che avrebbe garantito acqua potabile in salita verso il comune di Val Salice.
La sua è una storia di fatica, di mani che lavorano sodo per costruire qualcosa che forse non vedrà mai finito. Ma quella serata non avrebbe mai dovuto finire così. Erano circa le 20,30. La squadra stava ultimando le operazioni, una di quelle che chi lavora nei cantieri definisce routine. La gru mobile, posizionata su cingoli, stava completando il processo di estrazione di un macchinario dal terreno. Una procedura ordinaria, ripetuta chissà quante volte. Ma ieri sera qualcosa è andato storto. In un attimo, l’enorme struttura si è ribaltata, e Fatmir si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
La gru lo ha travolto, e per lui non c’è stato nulla da fare. In quel cantiere, sotto lo stesso cielo grigio, c’era anche suo figlio. Lo aveva seguito al lavoro, forse per imparare, forse per condividere una giornata con suo padre. Invece ha assistito a una tragedia che gli segnerà la vita. Le grida dei colleghi hanno squarciato il silenzio gelido della notte. Uno di loro si è precipitato alla guardiola del comprensorio Smat per alzare la sbarra, per far entrare i soccorsi.
I vigili del fuoco sono arrivati in fretta, ma non abbastanza per cambiare il destino di Fatmir. Hanno spostato la gru, tra il gelo e le lacrime, mentre i presenti, impotenti, assistevano alla scena. Nonostante l’intervento tempestivo, non c’è stato nulla da fare. Fatmir era già morto. Suo figlio, sotto choc, è stato trasportato d’urgenza all’ospedale Molinette.
La scena è rimasta impressa negli occhi di chi c’era. Il cantiere, che durante il giorno era un luogo di lavoro e di speranza, si è trasformato in un teatro di dolore. I carabinieri e lo Spresal hanno lavorato per ore, nel freddo, cercando di ricostruire l’accaduto, di capire cosa abbia trasformato una normale giornata di lavoro in una tragedia.
Intanto, le domande sulla sicurezza nei cantieri si fanno sempre più pressanti.
Quante vite devono ancora spezzarsi prima che qualcosa cambi?
Fatmir Isufi, con la sua esperienza, sapeva come muoversi in quei luoghi, ma anche la più grande abilità non può nulla contro gli imprevisti di un sistema che ancora non garantisce protezione sufficiente.
La sua storia è quella di tanti lavoratori che ogni giorno affrontano il rischio per garantire un futuro migliore alle loro famiglie. Una storia che si interrompe troppo presto, lasciando dietro di sé dolore, rabbia e interrogativi.
E mentre la nebbia si dirada, restano le tracce di una vita spezzata e il silenzio assordante di chi non può più raccontarla.
Fatmir Isufi è morto lavorando, e a portare il peso di questa tragedia sarà anche suo figlio, che quella notte non dimenticherà mai.
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