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Valli di Lanzo
24 Ottobre 2024 - 18:24
Donna disperata
A Germagnano, piccolo comune incastonato tra le montagne torinesi, una madre si è trovata davanti a una scelta che nessuna donna dovrebbe mai affrontare: denunciare suo figlio per salvarlo da se stesso.
Lui, 33 anni e vittima di una tossicodipendenza che lo trascina verso l’abisso da oltre un decennio, le ha confessato di voler compiere un furto nella tabaccheria del paese. E lei, con il cuore spezzato, ha compiuto l’unico gesto possibile per cercare di fermarlo: chiamare i carabinieri.
“Dai mamma, aiutami a grattare”. Queste parole, pronunciate dal figlio dopo aver portato a termine la rapina, risuonano ancora nella mente della donna, come un’eco dolorosa che non riesce a spegnersi.
L’intervista rilasciata al Corriere della Sera lascia trasparire tutta la sofferenza di una madre, ormai segnata da una vita di difficoltà e sacrifici, costretta a convivere con l’incubo delle dipendenze del figlio.
“Viviamo in un incubo da 15 anni” racconta, con la voce tremante. “Gli ultimi tre anni sono stati i peggiori”.
Non è la prima volta che suo figlio si mette nei guai con la giustizia. Arresti, denunce, brevi soggiorni in carcere. Ogni volta, però, riusciva a uscire dopo pochi giorni.
Ma stavolta, la madre sapeva che la situazione sarebbe stata diversa. Quella mattina, il figlio avrebbe dovuto recarsi al Sert, il servizio che aiuta chi lotta contro la tossicodipendenza. Invece, ha scelto di imboccare un’altra strada, quella che lo avrebbe condotto direttamente in cella.
“Si è bardato di tutto punto, ha coperto i tatuaggi, smontato le targhe della macchina e si è messo un berretto in testa. Poi, con disarmante tranquillità, mi ha detto che sarebbe andato a rapinare la tabaccheria vicino alla stazione”.
La madre ha cercato di fermarlo, ma lui non ha voluto sentire ragioni. È uscito di casa poco dopo le 7 del mattino, lasciando dietro di sé un vuoto colmo di angoscia. Non passano neanche venti minuti, e il figlio rientra con una borsa frigo colma di Gratta&Vinci e una mazzetta di banconote.
Nel frattempo, i carabinieri del nucleo radiomobile di Venaria si erano già messi in moto. La madre, terrorizzata, si è chiusa in bagno mentre il figlio, ignaro del fatto che la sua stessa madre lo avesse denunciato, continuava a grattare i biglietti rubati. “Mi urlava: ‘Mamma, sbrigati che andiamo a riscuotere!’” racconta. “Io non sapevo più cosa fare. Sapevo che stava crollando tutto”.
I carabinieri sono arrivati in silenzio, senza usare le sirene, per non destare sospetti. Ma il figlio ha capito tutto quando ha visto gli agenti varcare la soglia di casa. Ha negato, naturalmente. Ha cercato di mantenere la calma, ma poi, con uno sguardo carico di delusione e rabbia, ha fissato la madre negli occhi: “Li hai chiamati tu, vero?”.
Ora l’uomo si trova nel carcere di Ivrea, lontano da quella casa che lo ha visto crescere e da quella madre che, nonostante tutto, non ha mai smesso di amarlo. La decisione di denunciarlo la tormenta ogni notte. La donna non riesce a trovare pace, l’insonnia è diventata la sua compagna costante.
“So che ho fatto la cosa giusta” dice, quasi cercando di convincere se stessa.
“Me lo ripeto in continuazione, perché so che aveva bisogno di aiuto. E spero, come madre, che questa sia davvero l’occasione giusta per lui. Se mi odierà per quello che ho fatto, pazienza. Ma non potevo più guardarlo autodistruggersi. Doveva essere fermato, anche se a fermarlo sono stata io”.
Una scelta dolorosa, quella della madre, che spera, in fondo al cuore, che il figlio possa un giorno capire che quel gesto estremo è stato fatto per amore. Perché, nonostante tutto, l’amore di una madre è più forte di ogni errore, di ogni caduta, di ogni crimine.
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