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Costume e Società
04 Agosto 2025 - 22:14
Fabrizio Corona
C'è chi i panni sporchi li lava in famiglia. E poi c'è Raoul Bova, che invece ha deciso di portarli direttamente in procura. La notizia è di quelle che fanno tremare gli studi legali e impazzire i social: l’attore ha denunciato Fabrizio Corona, accusandolo di aver orchestrato una vera e propria campagna di umiliazione mediatica, culminata nella diffusione di chat e audio privati su un canale Telegram a pagamento.
Secondo quanto emerso, la Procura di Roma ha aperto un’indagine per tentata estorsione, dopo che gli audio – attribuiti a Bova e alla modella Martina Ceretti, con cui avrebbe avuto una relazione extraconiugale – sono stati pubblicati con l’intento, secondo l’accusa, di ottenere denaro in cambio della loro non pubblicazione. Un presunto intermediario, l’imprenditore Federico Monzino, sarebbe entrato in possesso di questo materiale, poi finito nelle mani di Corona. Le parole dell’attore, estrapolate e pubblicate con toni ad effetto, hanno fatto il giro del web. E se il contenuto in sé non contiene elementi penalmente rilevanti, il contesto e le modalità di diffusione sono tutto: “Ti sto salvando il culo. Dimmi quanto vale non pubblicare tutta quella roba”, scrive Bova in un messaggio che sembra tratto da una sceneggiatura, ma che invece potrebbe costituire la base di un reato.
L’attore ha reagito con forza, presentando due querele formali: una per diffamazione a scopo di profitto, l’altra per violazione della privacy e trattamento illecito dei dati personali. Nei documenti si parla di “condotta scellerata, vendicativa, finalizzata alla distruzione dell’immagine pubblica e privata di un uomo”. I legali di Bova sottolineano che si è superato ogni limite, trasformando episodi personali in materiale per monetizzazione digitale, con tanto di frasi volgari e interpretazioni umilianti. Una violazione che va oltre il gossip, entrando a pieno titolo nei territori del codice penale.
Il caso ha suscitato reazioni forti anche fuori dalle aule di giustizia. Il Codacons è sceso in campo definendo la vicenda “una vera e propria emergenza sociale”. L’associazione ha chiesto un intervento immediato del Garante della Privacy e una nuova regolamentazione: “Non è possibile che la vita privata dei cittadini diventi oggetto di mercato e arma di ricatto in una giungla digitale fuori controllo”.
Intanto è emersa un’altra verità finora tenuta lontana dalle luci dei riflettori: Raoul Bova e Rocío Muñoz Morales – pur non essendo legalmente sposati – sono separati da tempo. I due, genitori di due bambine, avrebbero trovato un equilibrio pacifico, mantenendo la custodia condivisa e un profilo pubblico discreto. Rocío, da parte sua, ha scelto il silenzio e la distanza: nessun commento, nessuna replica, nessuna sceneggiata.
Dall’altra parte della barricata c’è Fabrizio Corona, che continua a far parlare di sé non solo per questo caso. Attualmente è imputato in un processo per bancarotta fraudolenta legato alla società Fenice, e coinvolto in un altro procedimento per diffamazione aggravata dopo aver pubblicamente accusato alcuni calciatori (tra cui Zalewski, Casale, El Shaarawy) di calcioscommesse. A maggio è stato condannato a un anno per evasione fiscale, avendo lasciato Genova senza permesso mentre era ai domiciliari. E a giugno è arrivata un’altra batosta: condanna a risarcire oltre 36 mila euro alla giudice Marina Corti, diffamata e minacciata su Instagram con un’escalation di post rabbiosi e gogna digitale.
Corona non arretra. Rivendica la propria libertà d’informazione, continua a pubblicare contenuti borderline e a parlare di “verità scomode” da rivelare. Ma stavolta la questione si è fatta più seria. La giustizia non si ferma al clamore. E il suo nome è già sul tavolo del procuratore aggiunto Eugenio Albamonte, lo stesso che in passato si è occupato di reati informatici e cyberstalking.
Il caso Raoul Bova è più di una querelle tra vip. È lo specchio di un tempo in cui l’intimità diventa valuta di scambio, i social sono armi e le procure sono costrette a occuparsi di ciò che un tempo finiva semplicemente nelle pagine patinate dei settimanali. Siamo a un punto di rottura: il diritto alla riservatezza si scontra con la logica dello scandalo a pagamento, in un’arena dove tutto è lecito finché non scatta una denuncia. Ma qui la denuncia è arrivata. E promette di aprire uno squarcio su una realtà fatta di dossier digitali, minacce velate, umiliazioni pubbliche e guadagni facili.
Raoul Bova, l’uomo dal volto rassicurante, è costretto a salire sul ring. Fabrizio Corona, il gladiatore del trash, ci si trova da tempo. Ma ora, a decidere l’esito dello scontro, sarà un tribunale. E stavolta non si recita. Stavolta è tutto vero. Anche troppo.
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