Quello che abbiamo conosciuto noi è stato un Coral che amava compiacere per compiacersi. Che andava in giro per la sua Leini a stringere mani e a dare pacche sulle spalle. Che era sceso in campo con un movimento politico proprio come Berlusconi, molto prima di Berlusconi, per “salvare” - almeno così si disse e si scrisse - la sua città dai partiti e che, proprio come Berlusconi, ma molto prima di Berlusconi, s’era pure inventato un inno da canticchiare in macchina e da far ascoltare agli amici, agli amici degli amici e anche a quelli che amici non lo sarebbero mai stati. Un Coral che passava ore e ore in Municipo a incontrare cittadini bisognosi e per tutti, ma proprio per tutti, a trovare una soluzione. Un Coral che amava stare sui giornali tutti i santi giorni, con la giusta ironia, a dibattere e a litigare, fino allo sfinimento. Quello che abbiamo conosciuto noi giornalisti di provincia è stato un imprenditore, che davvero si era fatto da solo. Figlio di una famiglia povera emigrata dal Veneto, insieme ai suoi fratelli capace di passare dalla fabbricazione di pentole, in una piccola boita dalle parti di San Mauro, ad un’azienda strutturata e competitiva con centinaia di dipendenti.?Merito delle sue innate doti commerciali e dei tanti che da lì in avanti si misero a lavorare con lui e ad aprire aziende collegate, in mezza Italia e pure in Francia. Si racconta (e non è una balla) che un giorno convinse un suo operaio a mettersi in proprio e poi anche che lo convinse a sposare una ragazza e anche quella, incredibile ma vero, lavorava nella sua fabbrica. Nel finale, come in una favola di Disney i due si sposano, hanno dei figli e gestiscono una azienda che fa utili, funziona, ed è un fiore all’occhiello del Gruppo Coral. Ecco. Questo è stato Coral. Ci si può anche non credere. Si può prendere o lasciare. Ma chi lo ha conosciuto (praticamente tutta Leini), chi lo ha frequentato, chi in tutti questi anni ha seguito la sua disavventura giudiziaria, fa davvero molta fatica a dare un senso alle parole dei giudici che in primo grado, poi in secondo e infine in Cassazione lo hanno giudicato, arrestato, e messo in galera. E qualche rimorso ce lo hanno in tanti - e ce lo abbiamo anche noi - per non aver mai avuto il coraggio di dire e di scrivere come la si pensava veramente, cercando eventualmente anche di influenzare chi lo ha giudicato e s’è convinto che lui effettivamente sapesse di avere a che fare con la ‘ndrangheta. Convinti tutti che su questo punto qualche dubbio in più, prima o poi, i giudici lo avrebbero avuto non foss’altro che in tutto il Piemonte, la parola ‘ndrangheta è stata, almeno fino al 2011, pressochè sconosciuta, considerata una cosa legata alle regioni del sud, lontana mille anni luce dal comune sentire. A riprova c’è l’indifferenza con cui si è preso atto, prima del 2011, dell’esistenza di beni confiscati a Chivasso, Torrazza, Volpiano e San Sebastiano. O la stessa identica indifferenza con cui anche i nostri lettori presero in mano il dossier sull’inchiesta “Crimine” di Ilda Boccassini, pubblicato nell’estate del 2010, giusto un anno prima di Minotauro, con tutte le anticipazioni sul bar Timone di Giovanni Vadalà e su un incontro degli alti vertici della ‘ndrangheta per costruire una locale che ancora a Chivasso non esisteva. Indifferenti i lettori, i cittadini e persino i giornali concorrenti, pronti a marcare le distanze rispetto ad un giornalismo considerato, ancora in quel tempo “spazzatura”. Dal 2011 in avanti evidentemente è stato tutto un altro film e tutti sono diventati attori, accusatori, poliziotti e gente per bene. Tutti a scrivere, a pontificare, a dispensare consigli. Prendiamo Chivasso. Dov’erano i geni della legalità poco prima che scoppiasse lo scandalo Minotauro? Ve lo diciamo noi. Oggi sono ancora qui ad amministrare, in allora erano lì che stringevano accordi politici con il segretario dell’Udc Bruno Trunfio, figlio di Pasquale, cioè il boss della locale di Chivasso. La domanda è: perchè Coral sì e questi altri no? Lui sì perchè sapeva, perchè aveva dato loro dei lavori da fare. Come se dare dei lavori, per uno che fa l’imprenditore, sia una cosa poi così tanto strana ..E perchè mai non avrebbe dovuto darli a loro? I certificati antimafia erano puliti? Sì! Quali altre domande si sarebbe dovuto fare uno che non sa? Perchè mai avrebbe dovuto scansare gente che nessun politico in perenne caccia di voti avrebbe mai scansato? O, se si preferisce, che non avrebbe mai scansato proprio perchè erano calabresi e non c’è un cane che da queste parti non sapesse quanto fossero quotati i calabresi a tutte le elezioni... Stiamo o non stiamo parlando di personaggi incontrati da Coral ma anche da dozzine di candidati alla carica di consigliere regionale? Loro no. Coral sì, perchè sapeva. Coral sì perchè a parole “avrebbe messo uno qui e uno là” ma anche questa, per chi lo ha conosciuto, sarebbe stata da considerare una frase tipica del linguaggio di un uomo capace di vendere il ghiaccio al Polo pur di raggiungere un obbiettivo. Il suo peccato mortale? L’aver considerato possibile in politica tutto ciò che è consentito nell’economia delle cose. Il suo peccato veniale? Essersi innamorato così tanto di una leadership sul territorio da raggiungere con tutti gli strumenti a disposizione di un imprenditore. Fosse vero il contrario ci si sarebbe dovuti chiedere perchè mai alle politiche del 2001, perse le elezioni in un collegio considerato da tutti blindato per il centrodestra. Le perse (e anche questa la sanno tutti) perchè rifiutò l’appoggio di un gruppo di calabresi che gli avevano chiesto dei soldi. Che per un imprenditore che i soldi se li suda , un conto è affidare dei lavori ai “calabresi” ai prezzi di mercato, altro paio di maniche è regalarglieli. La verità? La verità è che quello che abbiamo conosciuto noi è un uomo che oggi, chiuso in una galera, come l’ultimo degli appestati, per dignità, potrebbe anche decidere di farla finita con la vita. Ecco perchè scriviamo.
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