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Il Piemonte volta le spalle ai giovani mentre il Piano socio-sanitario riduce servizi e visione

Secondo Domenico Canalis la Regione rinuncia a riprogrammare i servizi mentre crescono nuove forme di dipendenza e dimincono le risorse

Il Piemonte

Il Piemonte volta le spalle ai giovani mentre il Piano socio-sanitario riduce servizi e visione

Il nuovo Piano Socio Sanitario del Piemonte doveva essere il momento per ripensare in profondità il sistema dei servizi sulle dipendenze, alla luce dei cambiamenti sociali, culturali e sanitari degli ultimi anni. Per il consigliere regionale Domenico Canalis del Partito Democratico, invece, si è trattato di una occasione mancata, consumata in poche pagine e senza una visione strategica capace di intercettare fenomeni in rapida evoluzione, soprattutto tra i più giovani.

Il documento approvato dalla maggioranza di centrodestra dedica alle dipendenze uno spazio ridotto e, secondo l’esponente dem, sceglie una strada che rischia di indebolire ulteriormente il sistema: l’assimilazione dei Servizi per le Dipendenze alla salute mentale, con la conseguente fusione di budget e personale. Una scelta che, secondo Canalis, non è sostenuta da evidenze scientifiche e che appare dettata più da logiche di spending review che da reali esigenze cliniche.

I numeri raccontano una realtà complessa e in trasformazione. Lo studio dell’Università Bocconi, utilizzato come base conoscitiva per il Piano, segnala un aumento del consumo di sostanze psicoattive tra i giovani e l’emergere di nuove dipendenze. In Piemonte, nel 2023, rispetto al 2021, si registra una diminuzione dei casi legati a eroina e oppiacei, ma crescono in modo significativo altre forme di dipendenza: aumentano i giocatori d’azzardo, crescono in modo marcato i tabagisti, restano sostanzialmente stabili i casi di alcolismo, mentre salgono gli utenti con dipendenza da cannabinoidi e soprattutto da cocaina e crack.

Già nel 2019, prima della pandemia, i SER.D piemontesi avevano in carico oltre 21.700 pazienti. La quota più consistente riguardava le dipendenze da droga e da alcol, ma erano presenti anche casi legati al gioco d’azzardo patologico, al tabagismo e ad altri comportamenti compulsivi. Negli anni successivi, pur con numeri complessivi simili, la composizione dell’utenza è cambiata: sono aumentate le dipendenze da comportamenti e da cocaina, mentre sono diminuite quelle tradizionali come oppiacei e tabacco.

Un ulteriore elemento di preoccupazione arriva dalle audizioni svolte in Consiglio regionale. Secondo il CEAPI, tra i giovani piemontesi i consumi più diffusi riguardano oggi psicofarmaci, alcol e crack, una fotografia che evidenzia un abbassamento della soglia di rischio e una maggiore esposizione a sostanze ad alto impatto sanitario e sociale.

Il confronto con altre Regioni non gioca a favore del Piemonte. La Relazione al Parlamento sulle tossicodipendenze 2024 segnala come il territorio piemontese disponga di meno servizi ambulatoriali e di primo livello rispetto a realtà come Toscana, Emilia-Romagna e Veneto. Solo sul fronte delle strutture residenziali e semiresidenziali il sistema regionale risulta allineato. Un ritardo strutturale che, secondo Canalis, avrebbe richiesto investimenti mirati e non un ulteriore ridimensionamento.

La scelta di inglobare i SER.D nei Dipartimenti di salute mentale, già avviata in alcune ASL piemontesi, viene letta come un passaggio critico. Le dipendenze e la psichiatria sono ambiti distinti e l’area di sovrapposizione clinica riguarda una percentuale limitata dei pazienti. Non solo: già alla fine degli anni Settanta la Regione Piemonte aveva escluso il ricovero dei tossicodipendenti nei reparti psichiatrici, proprio per evitare una lettura riduttiva del problema. Nonostante questo, negli ultimi tre anni, seguendo questa linea, sarebbero stati tagliati circa 9 milioni di euro destinati alle politiche sulle dipendenze.

Canalis sottolinea come l’esperienza della pandemia abbia dimostrato l’importanza di servizi sanitari specialistici e di prossimità. Ridurre i presidi territoriali sulle dipendenze, mascherando l’operazione come integrazione, rischia di allontanare i pazienti e di intercettare troppo tardi situazioni già compromesse.

Nel corso dell’iter del Piano, il consigliere Pd aveva presentato un emendamento, poi respinto, che proponeva una riorganizzazione opposta. L’idea era quella di garantire autonomia tecnico-gestionale ai Dipartimenti per le Patologie da Dipendenza, con personale dedicato, competenze multidisciplinari e un budget vincolato esclusivamente a progetti sull’area delle dipendenze. Una struttura capace di collaborare con servizi sociali, infettivologici e psichiatrici, senza essere assorbita da essi.

La proposta includeva anche interventi su nodi ancora irrisolti, come l’assenza di una normativa regionale per le comunità residenziali non riabilitative dedicate a pazienti anziani con dipendenza, il rafforzamento della domiciliarità assistita, l’istituzione di una rete alcologica regionale e un investimento deciso sulla prevenzione, in particolare nelle scuole superiori. Centrale anche il tema dell’intercettazione precoce di minori e giovani con comportamenti a rischio, attraverso spazi di accoglienza e ascolto diffusi sul territorio.

In una Regione che registra un calo demografico ma un aumento delle dipendenze proprio tra le fasce più giovani, la scelta di comprimere risorse e visione su questo fronte appare, secondo Canalis, miope. La sanità, conclude, non può risparmiare su ambiti che incidono direttamente sulla tenuta sociale e sul futuro delle nuove generazioni.

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