È uno scontro durissimo quello che si apre sul terreno della riforma della giustizia e del futuro referendum sulla separazione delle carriere. A intervenire è Mauro Anetrini, avvocato torinese e promotore di uno dei comitati per il Sì, che liquida senza mezzi termini la proposta di un nuovo referendum avanzata da un gruppo di cittadini come un tentativo strumentale di bloccare tutto. Per Anetrini si tratta di «un gioco delle tre carte», di «un abuso del diritto» e di un «clamoroso errore giuridico».
Nel mirino c’è l’iniziativa che punta a raccogliere 500 mila firme per proporre un referendum sulla legge costituzionale sulla separazione delle carriere, nonostante la consultazione sia già prevista su richiesta di un quinto dei parlamentari. Secondo l’avvocato, l’obiettivo reale sarebbe un altro. «Lo scopo che hanno dichiarato è ottenere un differimento della consultazione. Di guadagnare tempo, insomma, e di creare qualche intoppo attraverso la formulazione di un quesito diverso da quello predisposto dal governo», osserva Anetrini.

Lo scorso novembre, Mauro Anetrini ha fondato il comitato “Separare le carriere: perché Sì”, lo stesso titolo del pamphlet che ha scritto, pubblicato e distribuito a partire dall’inizio del 2025 per spiegare le proprie ragioni a favore della riforma. Ora torna all’attacco contro chi sostiene di avere il diritto di presentare una richiesta autonoma di referendum in base alla Costituzione, anche in presenza di una richiesta parlamentare già formalizzata. Per Anetrini questa tesi non regge. «Questo è il gioco delle tre carte», ribadisce, oppure, nella migliore delle ipotesi, «un errore giuridico clamoroso».
L’avvocato torinese richiama direttamente il dettato costituzionale per sostenere la sua posizione. «Chiunque legga la Costituzione, al secondo comma dell’articolo 138, non avrà difficoltà a capire», afferma. «I padri costituenti, di cui i geniali promotori non sono discendenti, vollero prevedere molteplici condizioni, e per l’esattezza tre, precisando che erano alternative, come si desume dall’impiego della “o” disgiuntiva. Realizzata una condizione (la richiesta dei parlamentari – ndr) il referendum è d’obbligo».
Per Anetrini, dunque, l’operazione non ha basi solide e rischia solo di rallentare un percorso già definito. Parla apertamente di un «incaglio inutile e specioso» e affonda ulteriormente il colpo: «Non sapete più che cosa inventarvi per sottrarvi al voto del popolo o ritardarlo». Poi la chiusura, che suona come una sfida diretta: «Magari ci si incontra in Corte per discuterne. Di certo, ci vediamo al referendum».
Il confronto sulla separazione delle carriere entra così in una fase sempre più tesa, con il fronte del Sì che accusa apertamente i contrari di voler prendere tempo e spostare l’asse della discussione fuori dalle urne, mentre il dibattito giuridico e politico promette di arrivare fino ai palazzi della giustizia.