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Una riforma pericolosa e un referendum populista: Giorgis smonta la giustizia del governo

Da San Mauro Torinese l’allarme di Andrea Giorgis: “Non è una riforma tecnica, ma un’idea di potere che riduce la Costituzione a strumento della maggioranza”

Una riforma pericolosa e un referendum populista: Giorgis smonta la giustizia del governo

Una riforma pericolosa e un referendum populista: Giorgis smonta la giustizia del governo

Una riforma pericolosa, che non risolve i problemi della giustizia e che rischia di alterare gli equilibri costituzionali. Il bilancio tracciato da Andrea Giorgis è netto. Venerdì scorso, a San Mauro Torinese, si è tenuto un incontro pubblico sulle ragioni del “no” al referendum sulla riforma della giustizia che si terrà la primavera prossima.

Davanti a una trentina di persone in sala Ilaria Alpi, il senatore del Partito Democratico e capogruppo in Commissione Affari costituzionali ha smontato punto per punto la riforma della giustizia approvata dal Parlamento e destinata al referendum confermativo della prossima primavera. Un incontro pubblico promosso dalla sezione ANPI “Leo Lanfranco”, al quale hanno partecipato anche la sindaca di San Mauro, Giulia Guazzora, alcuni esponenti del centrosinistra sanmaurese e l’ex-sindaco di Gassino Torinese, Paolo Cugini.

Giorgis non ha scelto scorciatoie. Il suo intervento, lungo e articolato, ha preso le mosse dal metodo con cui la riforma è stata approvata, prima ancora che dal suo contenuto. «Quello che è successo in Parlamento è una forzatura che non ha precedenti nella storia repubblicana», ha detto. «Dal 1948 a oggi non era mai accaduto che una riforma costituzionale venisse approvata senza che nessuna delle Camere potesse modificare anche solo una virgola».

Secondo Giorgis, il dato politico è tutto lì. «Un ministro è venuto in aula e ha detto chiaramente che la proposta del governo era immodificabile. Anche solo per rispetto delle prerogative del Parlamento, questo è un fatto grave». Una rigidità che, a suo giudizio, segnala una concezione della Costituzione come strumento nelle mani della maggioranza, non come patto condiviso.

Da qui il passaggio al referendum confermativo, che Giorgis ha spiegato richiamando l’articolo 138 della Costituzione. «La Costituzione non è la volontà della maggioranza del momento», ha affermato. «È ciò che accomuna tutti. È il patto che serve a garantire che chi oggi è minoranza non venga schiacciato».

Il referendum, nella sua logica originaria, è uno strumento di tutela: serve a consentire a una minoranza qualificata di opporsi a una revisione non condivisa. «Qui invece – ha osservato – la maggioranza ha detto: noi andiamo avanti, poi decideranno i cittadini».

È su questo punto che Giorgis ha usato una delle espressioni più forti dell’intervento: «Il referendum è una tecnica decisionale a somma zero. O vince uno o vince l’altro. Ma le decisioni costituzionali non possono funzionare così». Secondo il senatore, affidare una revisione di questo tipo a un sì o a un no significa svuotare la logica stessa del compromesso costituzionale. «Raccontarlo come un massimo di democrazia è demagogia e populismo, il massimo aggiramento della natura costituzionale della riforma», ha affermato.

Andrea Giorgis

La riforma della giustizia: che cosa prevede

Entrando nel merito, Giorgis ha chiarito innanzitutto che cosa prevede la riforma. Il testo modifica gli articoli 102 e 104 della Costituzione e introduce formalmente la distinzione tra carriera giudicante e carriera requirente, istituendo due Consigli superiori della magistratura separati e una Alta Corte disciplinare. «Ma il vero bersaglio della riforma non è la separazione delle carriere. È il CSM», secondo il suo punto di vista.

Oggi il CSM è un organo unico, composto in maggioranza da magistrati eletti dai magistrati e, per un terzo, da membri laici eletti dal Parlamento con maggioranza qualificata tra avvocati e professori universitari. Decide su nomine, trasferimenti, progressioni di carriera e sanzioni disciplinari. «È uno dei pilastri dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura», ha ricordato Giorgis.

La riforma, invece, spezza questo assetto. E lo fa, secondo il senatore, senza una reale giustificazione. «Si dice che bisogna separare le carriere, ma oggi le carriere sono già quasi del tutto separate», ha sottolineato. «Il passaggio da giudice a pubblico ministero o viceversa è possibile una sola volta nella vita lavorativa, nei primi anni, e cambiando distretto». Un meccanismo utilizzato raramente: «Parliamo dello 0,48% dei magistrati». Un dato che, per Giorgis, smonta l’idea di un’emergenza strutturale.

Il punto centrale dell’intervento ha riguardato il ruolo del pubblico ministero. Giorgis ha insistito su una distinzione spesso semplificata nel dibattito pubblico. «Il pubblico ministero non è chiamato a sostenere l’accusa nell’obiettivo della condanna», ha detto. «È chiamato a sostenere l’accusa nell’obiettivo della giustizia». Un buon pm, ha spiegato, è quello che esercita l’azione penale nell’interesse dello Stato, anche quando questo significa chiedere l’archiviazione.

“I PM diventeranno dei superpoliziotti”

Separare concorsi e percorsi di carriera, secondo Giorgis, rischia di snaturare questa funzione. «Se separiamo del tutto la formazione – ha avvertito – il rischio è di trasformare il pubblico ministero in un superpoliziotto, sempre più orientato all’accusa». Una riforma che nasce come garantista, ha aggiunto, potrebbe produrre un’eterogenesi dei fini, rafforzando il ruolo accusatorio invece di bilanciarlo.

Giorgis ha poi allargato lo sguardo ai problemi concreti della giustizia, che a suo giudizio restano fuori dal provvedimento. «Questa riforma non dice nulla sui tempi dei processi, nulla sulla formazione dei magistrati, nulla sull’esecuzione della pena», ha osservato. «Abbiamo carceri che non sono luoghi di rieducazione, ma di umiliazione. E su questo non c’è una riga». Il risultato, nella sua lettura, è una riforma che complica l’assetto istituzionale senza migliorare il funzionamento del sistema.

Particolarmente critica è stata la valutazione sul sorteggio previsto per la composizione dei nuovi organi di autogoverno. «In nessun Paese al mondo esiste il sorteggio per un organo così delicato», ha detto. Il pluralismo associativo nella magistratura, pur con le sue degenerazioni, ha prodotto confronto e cultura giuridica. Il sorteggio, al contrario, «svaluta le competenze» e cancella la responsabilità. «Se sei sorteggiato», ha osservato, «a chi rendi conto delle tue scelte?».

Referendum confermativo: democrazia o populismo?

Il discorso si è poi spostato sul contesto politico. Giorgis ha richiamato le dichiarazioni di esponenti del governo e gli attacchi alla magistratura, letti come il segnale di una sfiducia strutturale verso un potere considerato d’intralcio. «Il messaggio è: abbiamo vinto le elezioni, quindi possiamo fare tutto», ha detto.

In questo quadro s’inserisce anche la posizione espressa da Gian Carlo Caselli il 7 novembre scorso a Gassino Torinese. L’ex procuratore di Palermo e Torino aveva avvertito: «In tutti i Paesi dove esiste la separazione delle carriere, il potere esecutivo può dare direttive al pubblico ministero, e il pubblico ministero deve ottemperare. È la fine dell’indipendenza della magistratura e dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge». Caselli aveva parlato di pubblici ministeri destinati a diventare «una casta a parte», dotata di un potere fortissimo, e prima o poi sottoposta al controllo dell’esecutivo.

Giorgis ha spiegato che questo passaggio non è scritto nella riforma, ma ha spiegato perché, a suo giudizio, la riforma creerebbe le condizioni per arrivarci un domani: «Se i pubblici ministeri diventano un corpo sempre più separato e potente, prima o poi qualcuno dirà che devono essere controllati politicamente».

L’incontro di San Mauro si è chiuso con uno sguardo al referendum. I sondaggi indicano il sì in leggero vantaggio, ma con un no in recupero e molti indecisi. È un referendum senza quorum, e proprio per questo – ha ribadito Giorgis – «è fondamentale andare a votare», perché in gioco non c’è solo una riforma tecnica, ma un’idea di democrazia costituzionale.

Le voci autorevoli che invece dicono “sì”

Il confronto, però, attraversa anche la sinistra e la magistratura stessa. Antonio Di Pietro, ex pm e simbolo di Mani Pulite, si è detto favorevole alla separazione delle carriere. Il socialista Claudio Martelli, ex-ministro della Giustizia, considera il principio condivisibile. E tra la stampa politicamente orientata a sinistra, Piero Sansonetti, direttore dell’Unità, ha definito la riforma coerente con una lettura garantista della Costituzione.

A San Mauro Torinese, davanti a una sala raccolta ma attenta, Andrea Giorgis ha messo in fila i suoi argomenti. La partita, però, resta apertissima, e la campagna referendaria è appena alla griglia di partenza. Saranno i prossimi mesi di sfida e di dibattito a smuovere gli equilibri, e – si spera – gli indecisi. A favore o contro.

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