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Referendum sulla giustizia: si vota in due giornate. Il Consiglio dei ministri approva il decreto

Il Consiglio dei ministri approva il decreto: urne aperte domenica e lunedì nel 2026 per una consultazione che tocca carriere, Csm e responsabilità dei giudici

Referendum sulla giustizia: si vota in due giornate. Il Consiglio dei ministri approva il decreto

Referendum sulla giustizia: si vota in due giornate. Il Consiglio dei ministri approva il decreto (immagine di repertorio)

Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge che disciplina le consultazioni elettorali e referendarie del 2026, stabilendo che il referendum sulla riforma della giustizia si svolgerà in due giornate, domenica e lunedì. Una scelta che ricalca lo schema già utilizzato in passato per favorire l’affluenza, ma che arriva su un terreno politicamente e istituzionalmente molto sensibile.

Il referendum riguarda una riforma complessiva dell’ordinamento giudiziario, che negli ultimi anni ha alimentato uno scontro durissimo tra governo, opposizioni, magistratura e avvocatura. Al centro del quesito ci sono i rapporti tra potere giudiziario e potere politico, il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, il tema delle carriere dei magistrati e quello, da sempre divisivo, della responsabilità dei giudici.

In sintesi, la riforma sottoposta a referendum punta a modificare alcuni pilastri del sistema. Tra i punti più discussi c’è la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, oggi appartenenti allo stesso ordine, con l’obiettivo – secondo i promotori – di rafforzare la terzietà del giudice. Un altro nodo riguarda il Csm, con nuove regole di elezione per ridurre il peso delle correnti interne alla magistratura, finite al centro di scandali e polemiche negli ultimi anni. C’è poi il tema della valutazione dell’operato dei magistrati e della loro eventuale responsabilità civile, che i sostenitori della riforma ritengono oggi troppo blanda e inefficace.

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Le ragioni del sì vengono sostenute soprattutto dall’area di governo e da una parte dell’avvocatura. Giorgia Meloni ha più volte parlato di una riforma necessaria per “riequilibrare i poteri dello Stato” e restituire fiducia ai cittadini. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, ex magistrato, è uno dei principali sponsor del cambiamento: secondo lui la separazione delle carriere e la riforma del Csm sono strumenti indispensabili per garantire un processo davvero equo. A favore del sì si sono schierati anche Forza Italia, storicamente critica verso l’attuale assetto della magistratura, e figure autorevoli dell’avvocatura come l’Unione delle Camere Penali, che vede nella riforma un rafforzamento delle garanzie per imputati e difesa.

Sul fronte opposto, le ragioni del no arrivano in primo luogo dall’Associazione nazionale magistrati (Anm), che considera la riforma un attacco all’indipendenza della magistratura. Secondo l’Anm, separare le carriere rischia di trasformare il pubblico ministero in una figura più vicina all’esecutivo, indebolendo l’autonomia dell’azione penale. Critiche forti arrivano anche da una parte del centrosinistra. Il Partito democratico, pur riconoscendo la necessità di correggere le degenerazioni correntizie, giudica il referendum uno strumento sbagliato e una riforma “punitiva” nei confronti dei giudici. Anche il Movimento 5 Stelle si è espresso contro, parlando di un intervento che non risolve i problemi reali della giustizia, come la lentezza dei processi e la carenza di personale.

Il voto in due giornate apre ora una lunga fase di campagna referendaria, destinata a essere aspra. La giustizia resta uno dei terreni più fragili del sistema istituzionale italiano, dove ogni modifica ha ricadute profonde sull’equilibrio democratico. Il referendum del 2026 non sarà solo una scelta tecnica, ma un passaggio politico cruciale sul rapporto tra cittadini, magistratura e Stato.

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