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Auto elettriche troppo poche, mercato fermo e target irraggiungibili: l’Europa corre verso il muro della CO₂

Numeri sotto le attese: le auto elettriche crescono, ma mercato debole, incentivi incostanti e infrastrutture carenti mettono a rischio i target 2025.

Auto elettriche troppo poche

Auto elettriche troppo poche, mercato fermo e target irraggiungibili: l’Europa corre verso il muro della CO₂

I numeri raccontano una realtà meno brillante delle dichiarazioni di facciata. Secondo le stime di Anfia, l’associazione che rappresenta la filiera automotive italiana, il mercato europeo dell’auto si avvia a chiudere il 2025 sotto la soglia degli 11 milioni di immatricolazioni, nonostante un timido segnale positivo registrato a novembre, con una crescita del 2,1%. Un rimbalzo che, però, non cambia il quadro generale: la transizione procede, ma non alla velocità richiesta dalle norme europee sulle emissioni.

Il nodo centrale resta quello delle alimentazioni. Nel cumulato dei primi undici mesi dell’anno, le auto elettriche a batteria (Bev) mostrano un trend indubbiamente positivo, con un incremento del 27,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un dato che, letto isolatamente, potrebbe sembrare incoraggiante. Ma è proprio il confronto con gli obiettivi fissati da Bruxelles a ridimensionare l’entusiasmo. La quota di mercato delle elettriche si ferma al 16,9%, solo 3,5 punti percentuali in più rispetto allo stesso periodo del 2024. Troppo poco, secondo Anfia, per rispettare i target di CO₂ previsti al 2025.

A dirlo con chiarezza è il presidente Roberto Vavassori, che invita a guardare oltre la crescita percentuale delle Bev. L’aumento delle vendite, spiega, non basta se il volume complessivo resta limitato e se il mercato nel suo insieme continua a essere debole. In altre parole, si vendono più elettriche, ma non abbastanza da compensare la lentezza strutturale della transizione e il calo generale delle immatricolazioni.

Il problema non è solo industriale, ma sistemico. L’Europa dell’auto si trova stretta tra obiettivi ambientali ambiziosi, una domanda che fatica a decollare e un contesto economico complesso. Inflazione, costo dell’energia, incertezze geopolitiche e redditi sotto pressione continuano a influenzare le scelte dei consumatori. In questo scenario, l’auto elettrica resta spesso percepita come costosa, poco accessibile e, in alcune aree, ancora difficile da utilizzare per carenza di infrastrutture di ricarica.

Anfia guarda con preoccupazione anche alle scelte normative della Commissione europea. La proposta di revisione del Regolamento CO₂ per gli autoveicoli leggeri, presentata nei giorni scorsi, non viene considerata all’altezza delle richieste avanzate dall’industria. La flessibilità sulle sanzioni, riconosce Vavassori, rappresenta un segnale di attenzione, ma non una soluzione strutturale. Il cuore del problema, secondo l’associazione, resta invariato.

Bruxelles ha infatti concentrato il dibattito sui target al 2035 e sul periodo successivo, confermando lo stop alla vendita di auto a combustione interna, ma senza modificare l’obiettivo intermedio del 2030 per le autovetture. È proprio questo passaggio a essere giudicato critico. La chiusura del mercato 2025, avverte Anfia, rischia di mettere in evidenza quanto l’industria e il mercato siano ancora lontani dal traguardo fissato, non per mancanza di volontà, ma per problemi strutturali destinati a rimanere irrisolti nei prossimi cinque anni se non si interviene in modo realistico.

Dietro la freddezza dei numeri c’è una questione industriale di enorme portata. L’automotive europeo, e italiano in particolare, sta affrontando una trasformazione che richiede investimenti massicci, riconversione degli impianti, nuove competenze e una filiera dell’energia in grado di sostenere la domanda. Senza un mercato sufficientemente ampio, il rischio è che i costi della transizione ricadano in modo sproporzionato su produttori e consumatori, frenando ulteriormente le vendite.

La stima di una chiusura del 2025 sotto gli 11 milioni di immatricolazioni fotografa un’Europa che non è ancora tornata ai livelli pre-pandemia e che, nel frattempo, deve fare i conti con la concorrenza globale. I costruttori cinesi avanzano rapidamente nel segmento elettrico, mentre gli Stati Uniti puntano su politiche industriali aggressive e incentivi mirati. In questo contesto, l’industria europea teme di trovarsi schiacciata tra regole stringenti e un mercato che non cresce abbastanza.

Il tema degli incentivi resta centrale. L’esperienza degli ultimi anni dimostra che dove i bonus all’acquisto sono stati stabili e ben finanziati, la diffusione delle Bev è stata più rapida. Dove invece gli incentivi sono intermittenti o insufficienti, la domanda si è raffreddata. Anfia e altri attori della filiera chiedono da tempo politiche coordinate a livello europeo, capaci di sostenere non solo l’offerta, ma anche la domanda, evitando il continuo stop and go che disorienta i consumatori.

C’è poi il nodo delle infrastrutture di ricarica, ancora troppo disomogenee sul territorio europeo. Senza una rete capillare e affidabile, l’auto elettrica resta una scelta praticabile soprattutto nei grandi centri urbani, mentre fatica a imporsi nelle aree periferiche e rurali. Un limite che incide direttamente sulla quota di mercato e che rende ancora più complesso il raggiungimento dei target ambientali.

Il messaggio che arriva da Anfia è netto: la traiettoria attuale non è compatibile con gli obiettivi fissati. Continuare a puntare solo sui traguardi di lungo periodo, senza rivedere quelli intermedi e senza affrontare i problemi concreti del mercato, rischia di trasformare la transizione ecologica in un boomerang industriale. La crescita delle elettriche, pur reale, non basta a colmare il divario.

Il 2025 si avvicina come un banco di prova decisivo. Se i numeri resteranno quelli attuali, l’Europa dovrà fare i conti non solo con il mancato raggiungimento dei target di CO₂, ma anche con le conseguenze economiche e occupazionali di una transizione gestita senza sufficiente pragmatismo. È su questo terreno che si giocherà la partita dei prossimi anni: non tra chi è favorevole o contrario all’elettrico, ma tra chi chiede obiettivi sostenibili e chi teme che l’industria non sia messa nelle condizioni di raggiungerli.

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