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Filosa boccia Bruxelles: così l’Europa rischia il suicidio industriale

Il ceo di Stellantis al Financial Times: misure Ue sull’auto insufficienti, regole confuse e costi insostenibili. Senza una vera strategia, investire di più diventa impossibile

Filosa boccia Bruxelles: così l’Europa rischia il suicidio industriale

Filosa

Parte da Torino, ma parla a tutta l’Europa, l’allarme lanciato da Antonio Filosa, amministratore delegato di Stellantis, in un’intervista al Financial Times che suona come una bocciatura senza appello delle ultime mosse di Bruxelles sul fronte dell’automotive. Parole nette, tutt’altro che diplomatiche, che fotografano il crescente scollamento tra le ambizioni proclamate dalle istituzioni europee e la realtà industriale con cui ogni giorno devono fare i conti i grandi gruppi manifatturieri. Il cosiddetto “pacchetto auto” della Commissione europea, dice Filosa, non è sufficiente. E non lo è per una ragione molto semplice quanto allarmante: mancano le misure urgenti necessarie per rilanciare davvero il settore e, soprattutto, manca una chiara tabella di marcia per la crescita, un orizzonte certo su cui costruire strategie industriali di lungo periodo.

Parole pesanti, che arrivano dopo settimane di segnali già tutt’altro che rassicuranti. Filosa aveva infatti chiarito che Stellantis sarebbe stata pronta ad aumentare gli investimenti in Europa solo a fronte di un ripensamento deciso delle politiche comunitarie, in particolare del divieto sui motori a benzina previsto per il 2035. Una disponibilità che non nasceva da nostalgie tecnologiche, ma dalla necessità di garantire una transizione sostenibile non solo dal punto di vista ambientale, ma anche economico e sociale. Ma alla luce delle ultime proposte Ue, lo scenario cambia in peggio e si fa più cupo: “Con queste condizioni diventa molto difficile pensare di investire di più”, è il messaggio che emerge chiaramente dall’intervista al quotidiano finanziario britannico, un messaggio che pesa come un macigno sulle prospettive industriali del continente.

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Il nodo, per il ceo di Stellantis, non è ideologico ma profondamente industriale. Senza investimenti aggiuntivi, avverte, è impossibile costruire una catena di approvvigionamento resiliente, capace di reggere agli shock geopolitici, alle crisi delle materie prime e alla competizione globale sempre più aggressiva. E quella filiera non è un dettaglio tecnico: è vitale per i posti di lavoro, per la prosperità economica e perfino per la sicurezza europea. Un richiamo che va ben oltre gli interessi di una singola multinazionale e che tocca il cuore della tenuta industriale del continente, soprattutto in un momento storico in cui l’Europa rischia di perdere ulteriore terreno rispetto a Stati Uniti e Cina.

C’è poi il tema, tutt’altro che secondario, della transizione elettrica dei veicoli commerciali, spesso assente dal dibattito pubblico ma centrale per l’economia reale. Secondo Filosa, non esistono oggi misure di sostegno immediate sufficienti per accompagnare il passaggio all’elettrico di furgoni e altri mezzi da lavoro, che rappresentano la spina dorsale della logistica urbana, dell’artigianato, delle piccole e medie imprese e dei servizi essenziali. Un segmento cruciale, che rischia di essere schiacciato tra obblighi normativi stringenti e costi di adeguamento insostenibili. A complicare ulteriormente il quadro, aggiunge l’amministratore delegato di Stellantis, sono i caveat e le ambiguità legate alla flessibilità annunciata sul bando dei motori a benzina dal 2035: una mancanza di chiarezza che finisce per minare la fattibilità stessa delle scelte industriali e per paralizzare le decisioni di investimento.

Il risultato è un insieme di misure che, secondo Filosa, hanno un costo che potrebbe non essere alla portata di molte case automobilistiche, soprattutto di quelle di dimensioni medio-piccole che costituiscono una parte significativa del tessuto produttivo europeo. Tradotto dal linguaggio manageriale: il rischio concreto è quello di una selezione brutale, in cui solo i grandi gruppi con spalle larghissime riescono a reggere l’urto della transizione, mentre il resto dell’industria europea resta schiacciato tra regole stringenti, investimenti incerti e un mercato globale sempre più competitivo e sbilanciato.

Insomma, mentre Bruxelles parla di transizione e sostenibilità, dal cuore dell’industria automobilistica europea arriva un messaggio chiaro e tutt’altro che rassicurante: senza scelte rapide, coerenti e sostenibili dal punto di vista industriale, la strada verso il 2035 rischia di trasformarsi in un vicolo cieco. E a pagare il conto, ancora una volta, potrebbero essere fabbriche, lavoratori e territori, con un prezzo sociale e industriale che l’Europa, oggi, sembra sottovalutare pericolosamente.

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