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20 Dicembre 2025 - 18:41
Askatasuna sgomberata, ma il conflitto resta: «Ci troverete in ogni angolo delle città»
«La nostra storia non è finita con uno sgombero. Se il ministro Matteo Piantedosi pensa di aver ottenuto una vittoria con lo sgombero di Askatasuna, si sbaglia di grosso. Ci troverà in ogni angolo delle città». Con queste parole, scandite al microfono e accolte dagli applausi, si è conclusa la manifestazione contro lo sgombero dello storico centro sociale torinese. Insomma: non è un epilogo, ma una dichiarazione di continuità.
Un corteo teso, attraversato da momenti di forte frizione e da un clima di costante contrapposizione con le forze dell’ordine, che si è concluso in corso Casale, davanti alla chiesa della Gran Madre di Dio, uno dei luoghi simbolo di Torino, ai piedi della collina. Una scelta non casuale, spiegano i manifestanti, perché la protesta voleva rendersi visibile nel cuore monumentale della città, portando il conflitto sociale là dove normalmente domina l’immagine istituzionale e turistica.
Dal camion-palco il messaggio si è fatto subito chiaro e senza mediazioni: «Ci troveranno in ogni piazza di questo Paese. La verità è che la nostra casa ora sono le strade, i cortei, le assemblee: ogni momento di partecipazione».
Una frase che segna il passaggio definitivo dall’idea di uno spazio fisico occupato a quella di una presenza diffusa, mobile, che rivendica il diritto di esistere anche senza una sede.
Nel mirino finiscono apertamente la politica e le istituzioni. «Abbiamo fatto una scelta coraggiosa: non delegare a quattro politici da strapazzo le decisioni sul nostro futuro. Ed è per questo che ci fanno pagare questa scelta. Chi alza la testa fa paura. E noi non abbiamo paura di fare paura». Parole che raccontano una rottura profonda con le forme tradizionali della rappresentanza e che restituiscono il senso di un conflitto percepito come strutturale, non episodico.
Il discorso si allarga poi a una dimensione più generale, quasi ideologica. «È il momento di costruire il contropotere, le nostre istituzioni, di costruire qui le basi di questo movimento. Solo così potremo avere una vita decente in questo mondo che stanno distruggendo. A partire dalla nostra città, costruiamo la nostra alternativa». Un appello che va oltre l’emergenza dello sgombero e che chiama a una riorganizzazione politica e sociale dal basso.
Askatasuna, del resto, non è mai stato solo un edificio. Nato a metà degli anni Novanta nel quartiere Vanchiglia, il centro sociale ha rappresentato per quasi trent’anni un punto di riferimento per una parte consistente dei movimenti antagonisti torinesi. Al suo interno hanno trovato spazio assemblee politiche, concerti, iniziative culturali, attività mutualistiche e campagne di solidarietà, diventando nel tempo un luogo riconoscibile e controverso della geografia urbana.
Il nome stesso, che in lingua basca significa libertà, è sempre stato rivendicato come una dichiarazione di intenti. Askatasuna è stato negli anni al centro di numerose mobilitazioni, dalle lotte per il diritto all’abitare al sostegno alle vertenze dei lavoratori, dalle battaglie ambientaliste alle mobilitazioni No Tav, fino alle più recenti iniziative di solidarietà internazionale. Una presenza costante, che ha spesso alimentato tensioni con le istituzioni e con una parte della cittadinanza.
Lo sgombero, avvenuto dopo settimane di crescente pressione politica e giudiziaria, è stato vissuto dagli attivisti come un atto politico prima ancora che amministrativo. Secondo il movimento, la chiusura dello spazio rappresenta una punizione per una scelta precisa: quella di non piegarsi alle logiche della mediazione istituzionale e di continuare a praticare forme di conflitto aperto. Una lettura che traspare con forza dalle parole pronunciate durante la manifestazione.
Nel corso del corteo non sono mancati momenti di tensione, con lanci di oggetti e cariche di alleggerimento, che hanno segnato una giornata definita dagli stessi manifestanti come “di resistenza”. A sottolineare la determinazione a non arretrare, anche a costo di scontri e repressione.
Non a caso, sul finale, sono stati annunciati nuovi appuntamenti. Il primo è fissato per la notte di Capodanno, «quando saremo in strada per inaugurare un anno di lotte». Seguirà il 17 gennaio, con un’assemblea pubblica di preparazione, e poi il 31 gennaio, data indicata per un corteo nazionale che punta a portare la vertenza torinese su un piano più ampio, collegandola ad altre esperienze simili in Italia.
A chiudere la giornata, un gesto simbolico e provocatorio: scritte proiettate con fasci di luce sui palazzi di piazza Vittorio Veneto, indirizzate contro la polizia, il sindaco Stefano Lo Russo e il governo. Un’azione che ha voluto lasciare un segno visibile e ribadire che, per chi era in piazza, la partita non è affatto chiusa.
Insomma, per il movimento Askatasuna lo sgombero non rappresenta una fine, ma l’inizio di una nuova fase. Una fase che promette di continuare a intrecciare conflitto, presenza nelle strade e sfida aperta alle istituzioni, a partire da Torino. Se vuoi, nel prossimo passaggio posso irrobustire ulteriormente il contesto politico locale o inserire reazioni critiche dall’amministrazione comunale mantenendo questo stesso tono.
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